Il bello senza mecenati
- Gianni Spartà
- 27/06/2022
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Varese si muove ma...
A un certo punto si è materializzato il fantasma di Maria Teresa d’Asburgo sere fa ai Giardini Estensi di Varese. Sotto braccio a Francesco III, usciva dal salone d’onore del palazzo, modello in miniatura della reggia di Schonbrunn, e si accomodava in prima fila davanti alla grande fontana, dove un’orchestra di ragazzini suonava musiche del “suo” Amadeus. Già, il bambino-prodigio che nella Vienna Felix allietava la corte facendo vibrare le corde di una spinetta. Ragazzini erano anche soprani e tenori che delle trame immortali di “Così fan tutte” offrivano al pubblico una interpretazione moderna col pettegolezzo civettuolo affidato ai messaggini di cellulari. Che dire? Ambientazione ideale per l’opera lirica il parco piantato nel cuore della città. Incoraggiante che non tutti i millennials tra venti e trent’anni sognino di fare i commercialisti e i notai. La cultura non dà pane, la rassegnazione all’usato sicuro deprime. Baby musicisti con le mani su oboe, clarinetti e violini devono aver strappato una smorfia di tenerezza anche all’imperatrice di ferro “tornata” tra i vecchi sudditi nel segno di Mozart. Ricapitolando: Zingaretti e Gifuni, cioè grandi della prosa, di scena sempre ai Giardini; Renato Guttuso riproposto con gli occhi dell’amico varesino Nino Marcobi al Castello di Masnago; gli archivi dello scultore Vittorio Tavernari esposti al Ma-Ga di Gallarate; il teatro pronto a farci sognare al Sacro Monte con Massimo Recalcati, Popolizio, Scifoni, beh tutto questo sconfessa quanti sostengono che la cultura ha poco da raccontare a Varese. Non abbiamo cattedrali, vero, vantiamo, per nascita o per caso, scrittori, poeti, filologi, drammaturghi, registi, attori, anche un premio Nobel, in verità, che inducono a ripensare le vocazioni di questa fetta di Nordovest. Il futuro è un autobus di passaggio: prima ci si sale, meglio è. Milano si è già procurata un posto di primo piano rivisitando il proprio skyline, creando foreste urbane, spingendo l’acceleratore sugli eventi d’arte, trasformando i vecchi opifici in teatri, musei, università, laboratori. Varese, che di Milano è storicamente satellite, deve fare di tutto per restare nell’orbita. Aspettando che idee e risorse cadano dall’alto di un PNRR? No, scuotendo l’albero rigoglioso delle opportunità fornite dalla “polis”. L’arte, dal Rinascimento in poi, si coniuga col mecenatismo. Ne sono prova i quadri guttusiani esposti a Masnago, sui quali troneggia “La partita di scopone”, la cerniera tra Bagheria e Velate (foto). Tempo fa la Camera di commercio di Varese ha tracciato un percorso non casuale: se viviamo in un’oasi di raffinate bellezze naturali, storiche e artistiche, proviamo a stimolare l’amor proprio nostrano, specialmente ai piani alti della scala. Si incoraggino, guidandoli, coloro che nel mezzo del cammino possono investire nella cultura della porta accanto. I vantaggi ci sono. Fiscali innanzitutto: lo sponsor ha agevolazioni. Personali: è bello lasciare un segno, redistribuire. Civici:: la ricchezza ferma nelle banche è una ricchezza improduttiva. Tre fattori: futuro, impresa, territorio. Roberto Grassi (Univa) ne ha aggiunto un quarto, la riscoperta dell’azienda sociale. Si può sponsorizzare una mostra, un concerto, un museo, un festival del cinema. Varese fu strepitosa nell’aiutare lo sport, in parte lo è tuttora; molto può fare per la cultura. Questa terra deve a pochi, illuminati leader la trasformazione di un’Arcadia rurale in crocevia di personaggi illustri. L’ultimo Verdi venne tra noi a scrivere la musica dell’Otello, Francesco Tamagno abitò la grande Villa Pero ridotta a uffici ospedalieri con un certo imbarazzo per chi ci lavora. Il suo pianoforte giace scordato in un angolo. E’ tempo che queste storie siano riscoperte e contribuiscano a disegnare un ritratto diverso delle nostre contrade.