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Whirlpool il grande dubbio

  • Gianni Spartà
  • 27/10/2022
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Lasciare l’Europa?

Si diceva e si dice ancora tra fiaccolate di speranza: gli americani se ne andranno prima o poi dall’Italia ma la fabbrica di Cassinetta di Biandronno, sacrario di Mister Ignis Giovanni Borghi, loro non la chiuderanno mai. E sapete perché?  Perché anche gli yankees della Whirlpool devono tutto a un certo Umpton, inventore geniale, che nel 1911 cominciò a costruire elettrodomestici sotto casa sua, non immaginando di dare il “la” a un business destinato a diventare globale. Curiose le analogie naturalistiche dei due marchi: Ignis in latino significa fuoco, Whirpool in inglese vuol dire vortice d’acqua. Se le profezie a sfondo sentimentale si avvereranno, sapremo nei prossimi mesi. Intanto si sanno altre cose. La prima: il colosso americano non intende fare un passo indietro dall’Italia, ma, cosa ben diversa, dall’Europa dove approdò trionfalmente nel 1989 scegliendo per quartiere non Parigi, non Londra, nemmeno Milano, ma una piccola patria chiamata Comerio: la presenza di un lago, come a Benton Harbor nel Michigan natio, esercitò sui conquistatori un certo fascino. La seconda: due gruppi, uno turco l’altro cinese, sono interessati a ritirare il pacchetto completo - decine di siti produttivi, migliaia di addetti, potenti reti distributive nel cinque continenti - e anche se nessuno lo dice, molti pensano che sarebbe preferibile in questo momento non finire tra le fauci di un dragone giallo. Vai a indovinare se è meglio un coccodrillo turco, in ogni caso allineato al blocco occidentale. La terza: prima di prendere una simile decisione gli eredi di Umpton cercheranno di capire fino a quanto una montagna di dollari compensa la cancellazione di una esperienza alla quale Whirlpool deve l’emancipazione tecnologica, lo sviluppo finanziario e il deciso cambio di immagine sui mercati e nei palazzi del potere politico. Toglietevi dalla testa gli impettiti banchieri di Wall Street quando pensate ai padroni della Whirlpool che è una public company finanziata con i fondi pensione dell’America Country. Nel loro Dna ci sono capelli da cow boy, rodei e le atmosfere magiche dei Mid West. Certo i manager di fine anni ’80 erano preparati, tenaci, coraggiosi, ma sapevano che in Europa avevano tutto da imparare e in Italia molto da sognare. Ad esempio Venezia, il Colosseo, la Torre di Pisa, meraviglie mai viste. Alcuni non avevano mai posseduto un passaporto: se lo procurarono per il primo viaggio oltre oceano. Si stupirono gli yankees che in pieno agosto a Varese non ci fosse uno studio notarile aperto. Gianni Praderio, allora direttore dell’associazione degli industriali, spiegò che si dovevano abituare all’Italia chiusa per ferie. E quando i primi arrivati a Comerio e a Cassinetta videro che nella flotta aziendale c’erano le Jaguar e le Mercedes amate dai loro predecessori, gli olandesi della Philips, convocarono un concessionario di Gavirate e gli ordinarono una sfilza di Alfa Romeo. L’auto davanti alla  quale Ford si toglieva il cappello. Poi la sorpresa: il side-by-side, tipico frigorifero americano a due porte lo aveva già pensato Giovanni Borgi negli anni ’60. Ma gli italiani non avrebbero saputo di che riempirlo. Tutto questo per dire che una Whirlpool non più europea è una Whirlpool forse più leggera sulla bilancia economica, sicuramente più povera nel peso specifico. L’unico che può capirlo è Marc Bitzer, oggi ceo mondiale di origini tedesche, innamorato di Varese dove praticava il triathlon con stupefacenti risultati: qui sono cresciuti i suoi figli. Lo spiega bene  nel suo blog  Giuseppe Geneletti, capo della Comunicazione a Comerio negli anni prima sfavillanti, poi sempre meno (brutta la chiusura dello stabilimento di Napoli dopo un investimento da 80 milioni di dollari): se veramente Whirlpool scegliesse di uscire dalla regione europea, porterebbe indietro le lancette della storia. E sarebbe paradossale che a farlo fosse non un americano, ma un tedesco. 

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