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La Ritirata di Nelson

  • Gianni Spartà
  • 25/01/2023
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Un film sugli alpini eroi

  Quando nel 1972 sbarcarono a Varese corsi pareggiati della facoltà di Medicina gemmati dall’università di Pavia, l’allora rettore Fornari si rese conto, di persona e per informazioni ricevute, di aver scoperto all’ospedale di Circolo una miniera di  illustri clinici. Essi potevano invidiare agli accademici la cattedra, non la profonda conoscenza della professione medica. Tra costoro c’era Nelson Cenci, otorinolaringoiatra asceso al ruolo di primario, circondato da bravi colleghi, uno dei quali, Carlo Maria Cis, meritevole un giorno di prendere il suo posto. Il tipo era alla mano, sempre sorridente, amato dai pazienti e con una storia personale conosciuta da quanti leggevano i libri di Mario Rigoni Stern: primo fra tutti “Il sergente nella neve”. La storia della disastrosa Ritirata di Russia alla quale il sottotenente degli alpini Nelson era sopravvissuto. Anch’egli avrebbe scritto memorie, con rara capacità narrativa, e da una di queste, “Ritorno” è tratto il film “La seconda via” che in esce in questi giorni nei cinema. Pantaloni e camicia di color giallo, seppur novantenne, ebbi la fortuna  di incontrare il professor Cenci a Cologno Bresciano l’estate del 2010, tra le vigne che s’era messo a coltivare con successo dopo l’abbandono del camice. Parlammo di quello che non dimenticava, l’inferno bianco di Nikolajevka, e il discorso cadde sull’Italia dei contemporanei incline a ignorare il suo passato. A un certo punto egli si bloccò e mi disse che la vera festa nazionale di questo Paese doveva essere il 4 Novembre, anniversario della battaglia di Vittorio Veneto, 1918. Me ne spiegò la ragione: “Quella fu la Vittoria di tutti, mentre alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia fece festa, sì, ma divisa”. Cenci si rendeva conto di come certi argomenti appassionassero poco le nuove generazioni. E allora da quel rifugio dell’anima sulle colline bresciane si rituffò nei ricordi della campagna di Russia dalla quale erano tornati a casa in pochi. Lui, ferito, su una slitta trascinata dai suoi alpini. Con lui Rigoni Stern, don Gnocchi, l’attendente Rossi, il caporale Lancini. Tutti  personaggi di una Spoon River patriottica nella quale adesso c’è anche il sottotenente medico scomparso a 93 anni (1919-2012). L’uomo era romagnolo di nascita, varesino d’adozione. Gli chiesi perché si chiamasse Nelson. Risposta: “A Rimini si davano nomi strani”. Attorno a noi aria frizzante, corsi d’acqua e vigneti che punteggiavano il triangolo d’oro della Franciacorta. Mi emozionò la sua camiciola sbottonata sul petto che aveva schivato le pallottole dei cecchini. In una stanza di una cascina del ‘600, c’erano cappelli con la penna, gagliardetti, un parabellum di quei tragici giorni nella steppa. In un angolo una scrivania alla quale Cenci si sedeva dopo il tramonto per buttare giù pagine destinate nate a  diventare libri. “Accanto al camino” è il resoconto della sua giovinezza: con la mamma sull’appenino tosco-emiliano, prima dell’approdo all’ospedale di Varese. L’ex primario aveva messo radici nel Bresciano di cui era nativo l’alpino cui doveva la vita. Imbottigliava vino rosso, che non poteva che chiamarsi “Il ritorno”, e bollicine con il marchio dell’azienda, La Boscaiola. Lo aiutava la figlia Giuliana alla quale Nelson aveva passato il testimone industriale per vivere da giovanotto romantico la sua vecchiaia. Che era solo un modo di dire anagrafico. 

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