I tempi lunghi dei Papi
- Gianni Spartà
- 24/04/2025
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Aspettando il conclave
Lo Spirito Santo sa essere spiritoso: tutti mi invocano, tutti mi amano, tutti dicono che a scegliere il nuovo Papa sarò Io e quindi mi aspettano. Ma quando arrivo, loro hanno già deciso. Questa ce l’ha riportata il vicario episcopale di Varese don Franco Gallivanone sere fa sul sagrato di San Vittore, stemperando l’evidente emozione provata nel guidare il Rosario per Franciscus davanti a una folla imponente. Come tutte le battute, essa nasconde una verità. Mentre il mondo attende l’Extra Omnes del Camerlengo che chiuderà a chiave 135 cardinali nella Cappella Sistina, ecco fughe in avanti e pronostici sui papabili. Sappiamo che il popolo di Dio non vota. Al massimo fa voti, prega, ma non ai reca alle urne. L’eccezione fu un referendum per alzata di mano duemila anni fa: la scelta cadde su Barabba e Cristo finì sulla croce. Così stava scritto. Stava anche scritto che sarebbero passati sei anni da quel “Santo Subito” gridato in piazza San Pietro dai fedeli mentre Giovanni Paolo II moriva: Woytjla fu beatificato solo nel 2011. Passò un tempo lunghissimo, oltre sette lustri, per Papa Giovanni XXIII: egli salì alla gloria degli altari il 3 settembre del 2000. E per acclamare santo Paolo VI, morto il 5 agosto del 1978, bisognò aspettare il 19 ottobre del 2014. Tutto questo per dire che da laici siamo assuefatti a misurarsi con le liturgie della politica, dell’economia, anche della scienza. La Chiesa millenaria contempla categorie diverse e per i Papi la verità non è mai quella del momento. Prendiamo Giovanni XXIII: quanto riduttiva e banale appare oggi l’immagine di “papa buono”. Mentre invitava i devoti radunati sotto la sua finestra a tornare a casa, in una notte di luna piena, e a dare una carezza ai loro bambini, questo pontefice progettava il Concilio Vaticano II, cioè la più grande rivoluzione moderna nel seno di Santa Romana Chiesa. Buono, dunque, non bonaccione. Modi da parroco della campagna bergamasca, ma con una formidabile tenacia riformatrice. Poi venne Montini, vittima di critiche, incomprensioni, anche di accuse per chiusure su temi come il divorzio, il controllo delle nascite, le coppie gay. Ebbene, nel 2014 il Sinodo rivalutò in tempi imprevedibili l’enciclica Humanae Vitae del 1968 cogliendo “elementi positivi anche nelle forme imperfette di famiglie”. Paolo VI con la sua sofferta umanità interiore non aveva condannato proprio nessuno. Aveva sprigionato profondità spirituali che o non erano state comprese o aveva fatto comodo non comprendere in un’epoca travagliata. A Paolo VI contestarono pure la scarsa empatia mediatica. Come Ratzinger era schivo e timido, riservato e colto. Ma quando lo videro implorare gli uomini della Brigate Rosse per il rilascio di Aldo Moro i suoi detrattori cambiarono idea. Nessun papa aveva preso di petto con tanta partecipazione un dramma sociale e politico. E nessun papa, tra l’altro, aveva mai messo piede su un aereo: lo fece quel pontefice esangue e sottile esattamente il 6 gennaio del 1964 per andare in Terra Santa. La prima volta di un Papa nei luoghi di Gesù. Forse bisogna apparire tormentati e silenziosi per passare alla storia come innovatori. Ora siamo di fronte a Tornado Francesco, il pontefice degli scartati. Nessuno ha ancora gridato Santo Subito, forse facendo tesoro delle lezioni precedenti. Tutti stiamo comprendendo quale responsabilità si troverà addosso il suo successore, chiunque esso sia. Nell’epoca degli neo-imperialisti e degli svitati, Bergoglio parlerà ancora per molto inculcandoci un concetto semplice nella sua evidenza in questi giorni: sulla crisi della politica, sugli abbagli della finanza, sul pericolo di archiviare il bene supremo delle libertà e dei diritti, la più antica istituzione del mondo conserva una potenza e un potenziale assoluti. Anche per chi non crede. Li sappia tesorizzare.