Presidenziali con chi?
- Gianni Spartà
- 12/05/2023
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Cercasi leader
La vignetta di Giannelli il giorno dell’incoronazione del nuovo re a Londra dice tutto. “Io sono Carlo III”, si presenta il predestinato al più alto in grado degli italiani venuto a celebrarlo. “E io Mattarella II”, gli risponde il nostro presidente con una stretta di mano. Anche la repubblica, umoristicamente, è costretta da stato di necessità o da legittima difesa a usare i numeri romani per storicizzare le sue alte cariche. D’altra parte abbiamo avuto un Andreotti VI. Ma capite che affrontare, di punto in bianco, il tema del presidenzialismo due giorni dopo il trionfo di una vecchia monarchia rende il tutto assai suggestivo. Mettiamola così: in un Paese che non riesce a dare il cambio a “Full metal Sergio” ( invenzione di Geppi Cucciari) si riapre improvvisamente il dibattito su come lo si potrebbe fare, in futuro, cambiando la Costituzione. Elezione diretta del capo dello stato, il popolo protagonista del massimo evento istituzionale, poteri ampliati al Colle per mettere fine alla girandola di governi e governicchi, stop all’instabilità, premierato, ottenere insomma con le riforme quello che l sistema non riesce a garantire e Dio ci liberi dal rischio dell’ennesima Bicamerale. Siamo di nuovo al minestrone, alla cascata di proposte, al rebelot, al fumogeno che sembra avvolgere lo stallo su come diavolo spendere i soldi del Pnrr. E sapete qual è la cosa più curiosa? Che a mettere mano al libretto di manutenzione della repubblica dovrebbe provvedere un parlamento non di eletti, ma di nominati. Cioè: siano i cittadini a scegliersi col voto il vertice quando la base continua a essere una combine pilotata dai partiti. Chi se ne importa, tra l’altro, se siamo al minimo storico in fatto di affluenza alle urne. Peccato, in ogni caso, se tra una settimana dovessimo tornare al sogno del Ponte sullo Stretto. Peccato perché un presidenzialismo o un semipresidenzialismo che non fosse abborracciato servirebbe eccome a questo Paese. Ne sono convinti numerosi studiosi della materia costituzionale guardando in faccia la realtà. Da una decina d’anni, dalla fine del berlusconismo in poi, è stato sempre il Quirinale a tirare fuori dal cilindro il premier d’emergenza: Monti, Letta, Gentiloni, Conte uno e Conte due, infine Draghi, forse il più adatto alla svolta. Per dire che una deriva presidenzialista di fatto già esiste, si tratta di codificarla senza mettere in discussione il bene supremo della democrazia repubblicana. Il difetto, caso mai, è la mancanza di un leader collaudato, riconosciuto, più forte della dittatura partitocratica, meglio, della sua conclamata sciatteria. Si fanno confronti storici non più attuali ma istruttivi. Gli Stati Uniti nacquero presidenziali perché un leader l’ebbero subito: l’eroe della loro guerra d’indipendenza, Giorgio Washington. La Francia, che presidenziale non era, per diventarlo ebbe bisogno di un De Gaulle. Dicano la verità Giorgia Meloni e Elly Schlein, il cui faccia a faccia, al di là dei commenti affidati agli uffici stampa, ci è parso un inizio. Entrambe ammettano che un Paese a trazione presidenzialista oggi non sapremmo a chi affidarlo. Domani sì, inevitabilmente, e non è sbagliato aver cominciato a pensarci. Perfettamente legittimate, una dal voto popolare, l’altra dalle primarie del suo partito, in curiosa “armocromia”, l’una di nero vestita, l’altra di rosso, le due donne della repubblica vadano in analisi, magari insieme, e studino come si possono eliminare i guasti di un sistema fragile e autoreferenziale, confusionario e limitato anche all’indomani di un teorico ritorno alla politica. E’ sbagliato lasciar perdere. Il cittadino non ha paura di riformare la Costituzione. Il cittadino chiede di non essere condannato a dare il voto a chi se ne serve non per far prevalere la sua volontà, ma per vedersela confiscare.