Quella volta con Indro
- Gianni Spartà
- 11/11/2019
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Indro Montanelli scrisse indimenticabili articoli su Varese e la sua gente negli anni ’60 quando il Corriere della Sera sguinzagliava le firme migliori nella provinciaitaliana allo scopo di scattarvi istantanee da tramandare ai posteri. Quadretti e profili sono di grande scuola. Eccone uno sulla città definita «…un deserto pieno di gente e ben attrezzato… Qui convivono due anime: quella del Sacro Monte, simbolo della Fede e centro del culto mariano, e quelle del forno crematorio, emblema della Massoneria. Ma il Clero è molto più forte della Loggia». Ed ecco la visione montanelliana del prototipo dell’industriale bustocco: «Sono personaggi formidabili e incredibili come se ne trovano ancoranel Texas. Lavorano come bestie, anzi come belve, tengono in mano i fili dell’azienda, non ne decentrano nessuno. Busto si presta alla caricatura. Ma questi uomini audaci e caparbi valgono più di tutti i critici e corbellatori,compreso il sottoscritto». Perché questo amarcord del grande Indro? Diciamo ilvero: per un pizzico di innocente vanagloria che si riferisce alla fortuna diaver incontrato Indro Montanelli in un giorno speciale. Egli spuntò in fondo al corridoio della redazione del Giornale alle undici e mezzo di un tiepido mattino di dicembre del 1993. Un figurino:cappotto con la cintura, bastone nero, giacca di velluto e maglioncino a collo alto. Arrivato sulla soglia del suo studio diede un annuncio solenne: «Oggi l’articolo di fondo lo scrivo io». «Su che cosa?», lo interrogarono subito i vicedirettori. E lui, scrutandoli in volto per captarne i pensieri: «Su Berlusconi. Che c’è, il panico? Tranquilli lasciate fare a me». Il principe di Fucecchio aveva dormito profondamente il giorno prima della battaglia. Sveglio all’alba, al solito, aveva acceso la tv nella solitudine del residence in cui viveva quasi da asceta, mangiando pochissimo e riposando il giusto. Poi s’era avviato verso l’ufficio, su quelle gambe secche e lungheche parevano trampoli, cominciando a rimuginare ciò che avrebbe scritto, senzapeli sulla lingua, al Cavaliere. Cioè al fratello del suo editore. Questo:«Caro Silvio, ti vuoi fare un partito? E’ un tuo diritto. Ma non aspettarti l’appoggio del mio giornale che praticamente è il tuo. Nemici mai, da oggi saremo fratelli separati».Essere stati testimoni di quella scenetta, che sisvolse prima di un’intervista fissata da tempo, è privilegio raro per unoscriba. Montanelli ci parlò a lungo: dei vent’anni controcorrente alla guida del Giornale, del fango che neppure le ruspe di un giornalismo di denuncia erano riuscite a rimuovere dal Palazzo,del fatto che dirigere un quotidiano gli dava noia, mentre a Scalfari - cidisse - provocava orgasmo. Aveva 85 anni ed era lucido come una palla di biliardo, diavolo di un toscanaccio. Parlò anche di Varese, il maestro, ricordòil giorno in cui era andato a intervistare Giovanni Borghi all’apice dei suoi successi industriali. <<Fossi rimasto ancora un po’ nella sua casa>> - raccontò - <<ne sarei uscito con la maglia della Ignissulle spalle. La simpatia del personaggio era contagiosa,irresistibile>>.