Blog



Ammazzare stanca

  • Gianni Spartà
  • 27/02/2024
  • 0

Quattro rapiti, nessuno restituito

Amen per Emanuele Riboli, un ragazzo di 17 anni che andava a scuola in bicicletta e amava le moto da cross: sequestrato a due passi da casa, a Buguggiate il 14 ottobre 1974, imprigionato chissà dove, ucciso col veleno per topi. O forse dato in pasto ai maiali. I giudici di Milano nel 1999 hanno chiesto scusa alla famiglia “per la serie incredibile di errori commessi dallo Stato”. E hanno dovuto mandare assolti i rapitori condannati in primo grado, arrendendosi ai tempi disperati della giustizia italiana: prescrizione per tutti. Amen per Tullio De Micheli, il padrone di una fonderia a Mornago: lo hanno aspettato a Comerio dove abitava, tirato giù dalla sua Alfa Romeo, portato via, nascosto nell’area metropolitana milanese. Era il 1975. La legge ha compiuto arresti anni dopo, Radio carcere ha svelato com’è morto il rapito: soffocato dalla sua dentiera durante un trasbordo che non dev’essere stato tranquillo, sepolto in un cantiere nel quale si stava costruendo un condominio. Niente di più della disperazione per la sua famiglia che di tanto in tanto lanciava appelli sui giornali e in tv. Amen per Cristina Mazzotti, 18 anni, studentessa comasca, il padre impresario: le hanno teso l’agguato mentre rincasava al volante della sua Mini, spinta nell’abitacolo di un’altra auto, rinchiusa in una prigione. E’ la prima quota rosa nel libro nero dei sequestri. Si scopre a 47 anni di distanza dalla sua morte orrenda (gettata in una discarica di Galliate accanto a un carrozzino arrugginito) che a prendere la ragazzina, un casco di capelli lunghi attorno a una faccina da bambola, sarebbero stati  malavitosi locali di mezza tacca, ladri, ex contrabbandieri in contatto con cosche calabresi infiltrate al Nord . Amen infine per Andrea Cortellezzi, trentenne di Tradate, sparito nei boschi dove circolava trasportando una motosega nel baule della sua auto. Stesso cliché, si deve immaginare: costretto a scendere, incappucciato, strappato a suo padre Pierluigi, ingegnere, titolare di una fornace di laterizi, e a sua madre, donna dolce e fragile. Correva l’anno 1989. e subito qualcosa non quadra coomiciare dalla scomparsa della motosega insieme con Andrea. Lettere del prigioniero alla famiglia - una spedita da Genova e forse macchiata di sangue - e confuse ricostruzioni insinuano il dubbio del sequestro anomalo: bande diverse si sono palleggiate il rapito prima di cederlo a professionisti del ramo. I quali telefonano alla redazione calabrese della Gazzetta del Sud e segnalano il luogo in cui i cronisti possono trovare la sorpresa più angosciante: il lembo di un orecchio, il destro, chiuso in una busta con poche parole di accompagnamento. E’ un ultimatum: o arriva il riscatto o Andrea lo restituiremo un pezzettino alla volta. La famiglia s’affretta a comunicare d’ essere pronta al pagamento. Ma niente, non succede niente nonostante le fiaccolate della gente di Tradate e una visita dell’allora ministro Giovanni Spadolini nella casa dei Cortellezzi . Nel Medioevo dei sequestri , tra gli anni ’70 e ’80 del Novecento, ferocia e paura hanno attanagliato una vasta zona della Lombardia. Chi si sentiva nel mirino, per lo più rampolli della borghesia industriale, viaggiava armato e scortato, una rivoltella sotto la giacca o nascosta nel cruscotto dell’auto. Prudenza, in qualche caso premonizione: può toccare a me. Ma i quattro fatti descritti sopra, tutti avvenuti tra Varese e Como, hanno una particolarità: nessuno dei rapiti è mai tornato a casa. I parenti non hanno potuto posare fiori sulle tombe.  Perché è accaduto questo? Coincidenze, sbandate investigative, sfortuna canaglia? E’ sicura l’impreparazione a gestire reati nuovi con conoscenze vecchie e nessun aiuto dalle tecnologie di oggi.  E’ probabile un abbaglio: ritenere che il capitolo si fosse chiuso nel 1977 con l’arresto a Milano, in piazza Cordusio, della primula rossa Francis Turatello, personaggio leggendario e per certi aspetti romantico. Francis ha avuto un processo ed è stato condannato al carcere duro per i clamorosi rapimenti degli industriali Carlo Lavezzari e Ludovico Zambeletti, i re del caffè e della farmaceutica. Dunque era plausibile nelle questure e in caserma associare i sequestri di persona al clima criminale di Banditi a Milano, il film di Carlo Lizzani, al tempo delle rapine in banca risolte dalle capacità persuasive di Achille Serra, il poliziotto senza pistola. Insomma affari della mala del Nord. E invece no: c’entravano anche e soprattutto le mafie del Sud. Con evidenti complicità territoriali. Ed ecco il fiorire dei sequestri di persona in terre ricche. Sono i delitti più odiosi, quelli che mettono alle strette i legami familiari, oltre che la dignità di chi si ritrova in catene in una grotta dell’Aspromonte. Senza luce, senza cibo, sotto il tiro di un fucile a canne mozze. Tutto chiaro oggi: Il Padrino era tra noi e oggi non si sporca più ler mani con i sdequesttri ma fa affari infiltrando la politica.. Era falsa la fotografia di Varese, provincia tranquilla. Non era vero, ma stava bene dirlo. Fino a quando il figlio di un patriarca, Antonio Zagari, pentito e schifato dall’ossigeno ‘ndranghetista respirato sin da piccolo, non ha smontato la teoria del Varesotto Isola Felice, consentendo di fermare col fuoco dei mitra quattro soldati della ‘ndrangheta saliti a Luino per rapire Antonella Dellea, figlia di un impresario edile. Anno 1990, il 16 gennaio. Se un “infame” non avesse parlato avremmo le informazioni di oggi? No, non le avremmo. Ce le ha servite su un piatto d’argento un ragazzo di Calabria, abile nell’eloquenza e nella scrittura, entrato nella storia giudiziaria non solo come pentito affidabilissimo, anche come autore di un libro dal titolo illuminante: Ammazzare stanca.                                                                                                                                                                                                                               

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti