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E il papa disse: "Devo rallentare?"

  • Gianni Spartà
  • 25/11/2019
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Ci abbiamo pensato lo scorso 2 novembre, anniversario della visita di Giovanni Paolo II al Sacro Monte di Varese (anno 1984), ci pensiamo ogni qual volta, giunti alla balconata sopra la statua di Mosè, sostiamo al centro della balaustra da dove il papa “santo subito” s’affacciò e impartì la benedizione alle migliaia di pellegrini che avevano fatto alla sua ascensione verso il santuario mariano. Indimenticabili quel passo spedito, da montanaro,lungo la strada a ciottoli, quel rosario sgranato e declamato con voce ferma,quella sua battuta imbarazzante: “Ditemi se devo rallentare”. Il seguito era in affanno per la salita nel tratto tra la quarta e la quinta cappella e il Maratoneta di Dio se ne faceva carico con spontaneità. Monsignor Macchi che gli stava accanto con un po’ di fiatone non profferì parola. Nemmeno quel granatiere del cardinale Carlo Maria Martini che lo tallonava in seconda fila.Ma lui capì e diminuì il ritmo. Se è vero che ciascuno porta nel cuore il “suo” Karol, a seconda delle emozioni provate incontrandolo,ascoltandolo, leggendolo, vedendolo in tv, a noi è rimasto negli occhi il ritratto di un uomo con le guance arrossate,la fronte rigata appena da un filo di sudore, la veste bianca che strisciava sugli ultimi gradini, dal balcone del Mosè alla chiesa, quando la gamba destra s’alzava per vincere la gravità della salita. Era una serata speciale: il cielo inondato dai riflessi della luna, le luci di Varese vicine come capita quando, al tramonto,è possibile avvistare a Occidente, oltre il massiccio del Campo dei Fiori, il dente aguzzo del Monviso. Giovanni Paolo II varcò la soglia del santuario sostando a lungo sotto la statua della Madonna nera che gli ricordava la Vergine venerata a Czestochowa. Poi incontrò le Romite Ambrosiane nella loro clausura. Per il credente egli era il successore di Pietro, il vicario di Cristo giunto dove Ambrogio aveva fermato gli Ariani. Per l’agnostico, già allora, nel 1984, era l’uomo del dialogo tra Est e Ovest, il teorizzatore di un’Europa alimentata da due polmoni uguali e con contrari al di là e al di qua,del Muro di Berlino, non ancora abbattuto. E oggi quella sembra sempre un’utopia perché il vecchio continente rinnega le sue radici, perché qualcuno di tanto in tanto se ne esce con la proposta di togliere i crocefissi nelle aule scolastiche, perché una giornalista norvegese, anni fa, fu chiamata a rispondere di una suggestiva offesa: si era presentata in tv con una piccola croce appesa al collo.Quante volte negli anni della sofferenza vissuta in pubblico abbiamo pensato al Wojtyla tonico ed energico visto da vicino sulle curve del Sacro. Si presentò a bordo di una jeep bianca,ne scese, cominciò a recitare l’Ave Maria e poco dopo, alla Terza Cappella,avvistò la Fuga in Egitto affrescata da Guttuso. Un’ora dopo, alle cinque della sera, sbucò infondo in fondo alla salita che separa la quattordicesima stazione dai bastioni del santuario. Appeso alla veste, aveva un microfonino che amplificava per la valle il suono del rosario.Vittorio Messori ha scritto che a differenza di quanti molti credono non è affatto la Chiesa a “fare” i santi.I santi li “fa” il senso della fede dei credenti, li “fa” la venerazione che circonda un cristiano in vita e poi attira i devoti sulla sua tomba.

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