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La mamma padrona

  • Gianni Spartà
  • 21/01/2025
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Giuseppine Agusta

Tutti ricordano il fondatore Giovanni Augusta e la sua discendenza maschile, pochi sua moglie Giuseppina che in momenti cruciali ebbe il sorte di guidare una fabbrica di elicotteri nel dopoguerra quando l’industria aeronautica ripartiva da zero.  Raccontano i testimoni d’epoca che Giuseppina, finché partecipò alla vita dell’azienda, fu presidente severa e inflessibile. All’interno della sua stanza, nel primo periodo, era posizionata la scrivania del figlio Domenico per il quale la contessa aveva voluto un titolo che trasmettesse all’esterno un’idea di operatività: direttore generale. Come dire: comando io, ma il motore della fabbrica è lui. Poi c’è una leggenda che è una verità: gli Agusta avevano paura di volare. Soprattutto ce l’aveva la mamma-padrona. Quando ci fu da andare in America a firmare l’accordo con la Bell per costruire su licenza la prima macchina a Cascina Costa, il G47, la siciliana tenace strigliò il figlio Domenico: manda il commercialista, tu non ci vai.. Così fu. Per la verità il ragazzo stava volentieri con i piedi, e le ruote, per terra. Anche i fratelli Vincenzo, Mario e Corrado quando andavano a Roma, partendo da Palermo, città natale, o da Milano, palcoscenico dei loro affari, si ricordavano delle raccomandazioni materne. Dicono che un’industria aeronautica decolla se può contare su due cose: i governi e i mercati. Nell’Italia del dopoguerra gli Agusta non ebbero dalla loro né gli uni né gli altri. Celebrato il matrimonio con Bell, macinarono affari nella Francia inquieta degli anni ’50 e tra i fasti della Persia ancora dominata dallo Scià. Elicotteri venduti dappertutto venendo da un Paese scettico e disattento verso l’aeronautica e forse ancora prigioniero del sogno che si era infranto nel ‘43 quando, al culmine di una specie di olocausto, erano finiti negli archivi gli aeroplani di legno e tela, le trasvolate mirabolanti, i piloti audaci e un po’ incoscienti. Tutto questo non c’era più: all’idea romantica delle squadriglie di Balbo, si sostituiva l’esigenza di voli sicuri; l’aviere bello e spericolato, da novelle di Liala, lasciava il posto al progettista geniale; e l’elicottero, col suo profumo d’America, era la novità, lo strano oggetto del desiderio. Domenico Agusta se ne fece affascinare sfidando un clima di indifferenza, facendo a meno di aiuti e puntelli, investendovi la storia di suo padre Giovanni che a sua volta aveva puntato sul tavolo verde delle costruzioni aeronautiche impiantate nella piana di Malpensa tutti i risparmi di commerciante di diamanti. I risultati gli arrisero: nel 1954 volò a Cascina Costa il primo elicottero costruito in Italia con tecnologia d’oltreoceano, poi i velivoli cominciarono a essere contrassegnati con la sigla AB, Agusta-Bell, fino al 1964 quando l’azienda si affrancò dal protettorato americano mettendo in pista il 101 G. Era un elicottero da 38 posti, triturbina, progettato e fabbricato interamente in Italia. Gli Agusta non ebbero vita lunga: Domenico se ne andò a 64 anni il 2 febbraio del 1971. Due anni prima era morto Mario, nel 1958, giovanissimo, Vincenzo. Una nota biografica aziendale lo immortala come “uomo dei fatti” capace di struggenti nostalgie per l’epoca di suo padre Giovanni.     

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