La toga e la vita
- Gianni Spartà
- 10/06/2025
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Bombaglio fa 50
Amici e parenti, quelli che non gli pagano la parcella, lo considerano una sorta di sacerdote laico e a lui, intelligente e sornione, piace saperlo. Metà principe di Salina, l’altra metà Peppino Prisco, il personaggio ascolta, confessa, non giudica, poi le soluzioni gli vengono naturali tra motti e metafore. Questa è la forza nascosta dello “spettatore imparziale” caro ad Adam Smith e prima di lui a Cicerone. La verità è che Fabio Bombaglio, classe 1947, famiglia legnanese, quintessenza della varesinità di rango, la sa più lunga dei 50 anni di toga per i quali il 13 giugno lo premierà l’Ordine degli avvocati di Varese. Avvocato fu anche suo zio Luigi, missino galantuomo, giudice costituzionale aggregato negli anni ’70 per lo scandalo Lockheed, mentre il padre Giannino, laurea tedesca in ingegneria e poi industriale, fabbricava le custodie della celebre Olivetti 22, la macchina per scrivere portatile di Montanelli. Bella responsabilità venire dopo due tipi così: se fallisci sei fritto. Bombaglio junior ce l’ha fatta col codice, non col regolo, e dovendo dire in che modo, le benemerenze professionali vengono dopo le rare qualità dell’uomo.
Riavvolgiamo il film: il suo primo ricordo.
“Anno 1952 nitido: la scuola materna comunale di via Pietro Micca a Casbeno. Varesini e non con i quali ci siamo accompagnati per tutta la vita. Prima, immagini sparse”.
La società, il foro, la gente, le istituzioni: come siamo cambiati?
“Siamo sempre meno quel che eravamo. Mi fa paura la progressiva distruzione dei ceti medi che per formazione, cultura e funzioni lanciavano messaggi sia agli strati sociali sovrastanti che a quelli sottostanti. Pericoloso dimenticare che la città, in Italia più che altrove, è spazio di convivenza stretta tra capitalisti, proletari e ceti medi riflessivi. Qualche rissa sì, ma una costruttiva mediazione sociale che sta venendo meno”.
La sua storia familiare…
“Anche mio zio, non solo mio padre, era iscritto al Politecnico di Milano. Quando il nonno e i suoi cugini vendettero lo stabilimento di Legnano, caduto il veto paterno, corse a Pavia e laurearsi in giurisprudenza. Il nonno rimase critico per sempre: L’è on mestée da napulitan! Forse è per quello che papà e zio hanno sempre venerato Napoli. Evoluzione della specie: mio figlio Giovanni avvocato in materia che non so e in lingua che non so, mia nuora Silvia magistrata del TAR dove non sono mai entrato mia figlia Giulia, nella Comunicazione di un gruppo multinazionale. Il vento è cambiato”.
I libri essenziali della sua formazione.
“Fahrenheit 451 a parte, più dei libri mi sono servite le persone: non stanno negli scaffali della biblioteca ma sono pagine scritte, ti insegnano a vivere”.
Ama il lago, ci vive accanto, il cuore batte per gli alpini…
“Tanti alpini lombardi vengono dai laghi che sono lo specchio delle montagne. Quelli con cui ho fatto la naja erano valligiani bresciani e bergamaschi o lacustri varesotti e comaschi, la Lombardia del Quinto Alpini. Per qualche mese ho comandato il plotone salmerie: un ufficiale, un sottufficiale, tre caporalmaggiori, 24 conducenti e 21 muli. Una banda autonoma in giro per bricchi con incarichi di trasporto in quota. Penso di essere il più anziano tenente degli alpini del mondo ma dei bocia di 51 anni fa, alcuni li ho ancora nel telefonino e gli altri nel cuore”.
Liceo Classico Cairoli a ridosso della contestazione studentesca, poi l’università Cattolica a Milano: i migliori anni della nostra vita?
“Non so se migliori, certamente illuminati da insegnanti come Raimondo Malgaroli. Insegnare: incidere un segno. Alla Cattolica c’erano cattedratici che non avevano scritto a raffica ma le cui opere erano cardini del pensiero giuridico dell’epoca. Il livello dei docenti di un liceo classico statale e di un’università privata è l’augurio che faccio ai miei nipoti anche se capisco di darmi la zappa sui piedi. Potrebbero dire: se con quelli che hai avuto sei venuto fuori così, figurati se ti capitavano scalzacani”.
Missiroli o Longanesi a proposito dell’Italia: una cosa seria, risolutiva è improponibile da noi perché ci conosciamo tutti. Stuzzico Bombaglio pensatore e scrittore. Vero che I rotariani la chiamano Vate?
“I rotariani sono burloni e i posti di Vate sono da tempo esauriti per avvenuta assegnazione definitiva. La domanda mi fa ricordare un signore la cui consorte, separanda, lamentava che lui non facesse nulla. Gli chiesi amichevolmente: di cosa si occupa? Mi rispose: sono uno scrittore. Replica obbligata: cosa ha scritto? Suo affondo devastante: per ora niente. Un modello irraggiungibile”
Ha mai creduto alla Seconda Repubblica?
“La seconda voleva razionalizzare la prima, ma non ci è riuscita. Forse perché razionalizzava con adesione a modelli altrui: da noi la semplificazione è quasi sempre un guaio”.
E Mani Pulite: fu utopia?
“Dai processi in piazza la giustizia non ha mai tratto vantaggi”.
La realtà si è trasferita sui social: prendere o lasciare, ormai è così. Come valuta gli effetti sui comportamenti degli individui?
“Mi sembra che la regola diffusa sia: non capisco, quindi giudico. E’ scomparsa l’analisi e ci si rifugia nell’ esecrazione di quel che non si accetta o non si vuole. D’altro canto la discussione richiede tempi e spazi incompatibili con l’uso corrente dei social”.
La gente non va più a votare e l’umanità è di nuovo in guerra: dove hanno sbagliato i boomers?
“Non so, l’integrazione economica e politica ha tolto peso al voto popolare nelle singole nazioni. Si votava contro qualcuno, poi per qualcuno. Adesso mi sembra che chiunque vinca le scelte fondamentali restino le stesse. Il voto per simpatia ha la prevalenza. Sorridere a comando”.
Gibilisco Fontana Galimberti, tre sindaci di Varese avvocati, due della sua generazione. Perché lei no?
“La politica, quella amministrativa in particolare, è sempre stata una passione familiare: nonno assessore a Legnano nei primi anni del ‘900, zio consigliere comunale e provinciale a vita. No, non ho mai fatto politica attiva. Sono stato socio di studio e amico fraterno di Pippo Gibilisco, sono amico di Attilio da anni lontanissimi. Ho molta stima di Galimberti”.
La premiano per 50 anni di toga: chiudiamo con un pensiero.
“Se a uno piace rompere l’anima al prossimo, fare l’avvocato è il sistema per farlo a pagamento. Ma dopo mezzo secolo dico grazie a una professione che ho cercato di servire e alla quale riconosco un merito: mi ha fatto capire che la gente, salvo poche eccezioni, è molto meglio di come dicono in giro”.