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Senza fine

  • Gianni Spartà
  • 14/06/2025
  • 0

Il pasticciaccio brutto di Garlasco

Tutti commissari tecnici quando gioca la nazionale, tutti virologi ai tempi del Covid, tutti vaticanisti per indovinare il nuovo papa, ora tutti giudici, criminologi, investigatori in quel pasticciaccio brutto del delitto di Garlasco. Un giovane è in carcere da dieci anni dopo due assoluzioni e una condanna, tra l’altro criticata dal Guardasigilli. Dietro le sbarre ha avuto modo di fare i conti con la propria coscienza e se davvero non c’entra nulla con la morte di Chiara Poggi, c’è davvero qualcosa che non funziona o non funziona più nei tribunali e fuori. Nello stesso lampo di tempo, dieci anni, una madre e un padre hanno rimosso i ricordi familiari di un ragazzo per bene e si sono dovuti convincere che è stato proprio lui, con quello sguardo da sfinge, a uccidere la loro figlia.  Ma poi improvvisamente, quando scende l’oblio almeno nelle coscienze collettive, il caso giudiziario riempie di nuovo le piazze, i social, le tv e scombussola la rotta di una giustizia da troppo tempo col vento a sfavore. D’accordo: decidere tra innocenza e colpevolezza è grande tribolazione sin dai tempi del processo a Gesù e questo ha a che fare con l’umana natura oltre che con la fede. Ma quando una nuova tecnologica investigativa irrompe nella scena di un delitto con droni e scanner; quando un’impronta sottovalutata prima autorizza a rivedere il già visto; quando l’abbaglio rischia di apparire azzardo, com’è spesso accaduto, beh il cittadino chiede in quale modo interpretare questo Truman Show. E siccome sui muri dei tribunali c’è scritto “In nome del popolo italiano”, a questo popolo qualche spiegazione va concessa. Almeno su un tema: i tempi del giudizio. Sono infiniti e allucinanti come nel processo di Kafka? Tutto si decide, scegliendo la ricostruzione di un fatto, valutando le testimonianze degli uomini e le risultanze di un esame di laboratorio, ma poi tutti è ridiscutibile? Oggi in prima pagina è tornato Garlasco e nella memoria di due generazioni sono impressi la sfilata di Enzo Tortora in manette a Napoli, il suo calvario in carcere, l’assoluzione quando il cancro gli lasciava poco da vivere. Andando indietro negli anni, ma era l’epoca dei depistaggi, c’è Pietro Valpreda: faceva comodo chiudere in fretta l’inchiesta su piazza Fontana e il ballerino anarchico era un colpevole perfetto. Già dimenticato invece l’ultimo della lista: il pastore sardo Beniamino Zuncheddu liberato mesi fa dopo 33 anni di carcere per una strage non compiuta da lui. Se è vero che a Stasi, in caso di conclamata innocenza, lo Stato dovrà corrispondere sei milioni e mezzo di indennizzo, a Beniamino quanto devono dare? Per dettagli contattare Stefano Binda da Brebbia, presunto assassino di Lidia Macchi: si è fatto tre anni e mezzo di custodia preventiva, assolto definitivamente nel gennaio del 2021 ancora non ha avuto un euro. Ne chiede trecentomila. Ora, si può pensare che gli investigatori hanno smarrito l’arte d’indagare su un femmicidio? E’ eccessiva la fiducia nella scienza che è meno affidabile del fiuto di marescialli e commissari? E infine si può ipotizzare che un pubblico ministero riapra un caso ad alta esposizione mediatica come quello di Garlasco se non ha motivate speranze di ribaltarlo e risolverlo?  In un suo libro Giuseppe Battarino che è stato giudice a Varese cita Franco Cordero, prolifico giurista e scrittore italiano, scomparso nel 2020: “Se ogni affare deciso fosse riesumabile- egli diceva- sarebbe turbato l’equilibro socio-psichico collettivo”. E quel verbo, riesumare, evoca brutte sensazioni: quanti resti umani macabramente dissepolti per verifiche fallite. Anche la scienza, non solo la giustizia, ha limiti temporali. Anche la verità, quella con la “v” minuscola, non dura in eterno. E allora il problema è questo: fissare limiti. Resta il dolore di una mamma, di un padre, di un fratello che vale più dell’ossessione giudiziaria. Quando Alberto Stasi fu condannato per aver ucciso Chiara, la mamma di Lidia Macchi, donna dolcissima, ebbe a dire: “Sono stata fortunata, non ho mai visto alla sbarra l’assassino di mia figlia”. Si sbagliava. Due anni dopo ne vide uno, Stefano Binda, ma non era l’assassino. La stessa situazione nella quale si trovano oggi i genitori di Chiara Poggi.

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Chiara Poggi Stefano Binda Lidia Macchi Garlasco

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