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L’eredità di Ambrosoli

  • Gianni Spartà
  • 02/03/2025
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Il pensiero e l’imbroglio

L’eterno bisticcio tra Stato e Regioni, il debordante contenzioso al Consiglio di Stato e in Cassazioni per decidere chi deve fare che cosa in Italia se c’è da costruire un ponte o tagliare un bosco, mi fanno pensare a un maestro del federalismo che Varese ha conosciuto e apprezzato: lo storico di idee socialiste Luigi Ambrosoli, docente nei licei, poi all’università, per un certo periodo assessore e vicesindaco a Palazzo Estense. Non gli si poteva dare del leghista, anche se egli ebbe in sorte di in sorte d’assistere agli eccessi di folclore celtico-padano utilizzati da Umberto Bossi per galvanizzare non solo le ciurme da bar sport. Sicuramente era uno studioso di Carlo Cattaneo e inorridiva quando vedeva le sue teorie spalmate come un formaggino su tutte le interviste-spazzatura che avevano per tema il federalismo. Alla fine degli anni ’80 Ambrosoli vergò in un saggio intitolato “Dal Lago alla Lega”, nel quale sostenne tra l’altro, che doveva essere presa in seria considerazione «...la denuncia dei mali provocati dal centralismo statale, dalla limitatissima autonomia concessa alle regioni, dalla disparità di trattamento tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario». Lo andai a trovare nella sua villa nel centro di Varese e mi mostrò una lettera del 1851 indirizzata a Giuseppe Ferrari nella quale Cattaneo esprimeva il timore che la parola "federazione" potesse essere intesa come "disunione" di ciò "che era unito". Il prof alzò gli occhi dal libro nel quale aveva pescato la frase e col garbo del quale erano intrisi i suoi modi di fare e denunciò la “mancanza di concretezza o, che è peggio, il ricorso a formule destinate ad aver successo in certi climi elettorali, ma prive di qualsiasi validità storica e politica”. Da quell’incontro è passato molto tempo. E niente resta di polemiche secessioniste che allora parvero affare di stato. Tutto scorre. Luigi Ambrosoli è morto 23 anni fa, a Varese viene poco ricordato, ma pare la sorte comune di uomini di cultura  in un’epoca nella quale prevale l’imbroglio contrabbandato da pensiero politico. La sua discendenza ha preso altre strade, tranne il primogenito Paolo, tutti medici figli e nipoti. Ambrosoli diceva che l’Italia non sarà mai come sognava Cattaneo, federata e responsabile. Ogni delega di potere genera un conflitto, ci vuole una giustizia amministrativa adibita a dirimere da mattina a sera conflitti tra le burocrazie romane e quelle assai dispendiose che soffocano le Regioni. Giuseppe Zamberletti, di cui ricorre il sesto anniversario dalla morte, diceva che i governatori regionali stanno meglio dei re di Francia considerando il lusso dei loro palazzi. Ricordo Luigi Ambrosoli chino sulla tastiera di una videoscrittura che di malavoglia aveva messo sul tavolo fratino al posto della vecchia Olivetti lettera 22; immerso nella penombra del suo studio al piano rialzato di una villa dei primi del Novecento. “Storia di Varese”, un libro edito qualche anno fa, è il suo testamento spirituale. 

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