L’aviatore di Dio
- Gianni Spartà
- 22/06/2025
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Don Adriano fa 60
Chissà se all’orecchio di Leone XIV giungerà eco della leggenda di un prete ambrosiano, don Adriano Sandri, classe 1941, giunto al traguardo dei 60 anni di messa? Sono sicuro che il pontefice americano troverebbe interessanti un paio di cose: prima di diventare don nel 1963, il giovane Adriano prese il brevetto di pilota d’aereo, sfruttato nei cieli d’Europa, e il fatto non è sfuggito ai generali dell’Aeronautica Italiana che mesi fa lo hanno premiano a Roma. Seconda stranezza: solo il buon Dio potrebbe spiegare com’è riuscito un suo umile servitore a portare nella sua chiesa a Velate le reliquie dell’ultimo imperatore Carlo I d’Austria, successore di Francesco Giuseppe, e a dedicargli altare vicino a quello di Santa Rita. Certo: ha ottenuto il benestare vaticano e Giovanni Paolo II ha proclamato beato nel 2004 il regnante che nella Grande Guerra aveva praticato a piene la pietà cristiana. Ma non era scontato che il suo culto mettesse radici a Varese per opera d’un sacerdote nato e cresciuto a Casbeno, studente nei seminari di Masnago e Venegono, dove insegna ancora scienze naturali per passione. Sono immaginabili abilità diplomatica e contiguità con gli eredi degli Asburgo che in fondo poco importano ai parrocchiani abituati da 41 anni a ricevere la comunione da un prete considerato padre, fratello, amico di famiglia per battesimi, cresime, matrimoni, funerali. A loro basta sapere che don Adriano c’è, anche se su di lui un regista potrebbe farci una fiction. Il personaggio è schivo, riservato, uomo di pensiero e tuttavia vigila come un radar su tutto quanto lo circonda. E’celebre il disordine organizzato della sua casa. Vi troneggiano un pianoforte a coda e un binocolo astronomico tra montagne di libri. E tutto ciò pare contrastare con le relazioni internazionali che timidamente raccontava anni fa quando andava ospite a Parigi di un canonico di Notre Dame. O quando si assentava per qualche settimana, solitamente dopo Natale, per raggiungere l’Africa con bagagli pieni di materiale didattico destinato a laboratori di scienze da impiantare in polverosi villaggi. I missionari: ecco la terza storia da far conoscere a papa Leone. Don Sandri è stato ambasciatore di due velatesi speciali: padre Adelio Lambertoni, andato a sfidare il comunismo cinese a Hong Kong negli anni ’60 e lì rimasto tutta la vita. In quella terra egli ha adottato cinque bambini trovati sporchi e denutriti su barconi galleggianti in una baia. Poi padre Alberto Zamberletti, medico premiato anni fa dalla celebre Scuola salernitana, parroco nella Guinea Bissau insanguinata da una delle tante guerre dimenticate. Adelio è sepolto nella sua Velate: di tanto in tanto i suoi eredi vengono a pregare in cinese sulla sua tomba: nel 2018 il Comune di Varese gli conferì la Martinella d’oro alla memoria. Alberto è ancora laggiù e quando torna a casa è come se il vento africano si mescolasse alle brezze del Sacro Monte suscitando riflessioni profonde sulle invincibili disuguaglianze nel mondo. che l’etichetta di “prete con le ali” abbia dato la maggiore popolarità a don Adriano. Non credo ne soffra: il volo ce l’ha nel sangue. Agli astronauti solevano domandare, una volta rientrati alla base, se nelle loro orbite avessero incontrato Dio. “Né lui né gli angeli”, fu la celebre risposta del russo Gagarin. Frank Borman, comandante dell’Apollo 8, diede un’altra interpretazione: “Neppure io l’ho incontrato. E tuttavia, guardando sotto i miei occhi, ho avuto la prova che c’è”. Nessuno oserà mai fare domande simili a un sacerdote aviatore. Ma se costui dovesse essere don Andriano Sandri comincerebbe a raccontare pressappoco questa parabola: l’uomo dice d’aver conquistato il proprio destino, di non aver bisogno di riconoscersi in un ente superiore. E’ convinto di essere lui a fare la storia. Poi scopre che molte vittorie si sono dimostrate sconfitte, molti trionfi umiliazioni. Ieri e oggi. Dove cercare la fede? In ciò che ci avvolge, nel Creato. Ad esempio nel Monte Rosa superbo che il “don” avvista davanti all’elica di un Piper o al muso di un aliante decollando dalla pista di Calcinate del Pesce diretto a Nord. Facile amare le ali avendo conosciuto Plinio Rovesti, insigne aviatore e celebrato meteorologo, com’è accaduto al “casbenatt” don Adriano. Più facile, consacrando la propria vita a Dio, compulsarne la presenza vagando nell’alto dei cieli, appena un po’ più giù. Scrivo queste note nel giorno in cui don Sandri ha celebrato una messa nella chiesetta di San Cassiano collegato in diretta via telefonino con Gerusalemme dove vive e trepida la famiglia di Lucia D’Anna, violoncellista velatese, nota ai lettori della Prealpina che pubblica da tempo i suoi diari di guerra e disperazione. Ecco un’altra combinazione capitata a don Adriano: essere prete in un borgo dove hanno abitato e abitano celebri uomini d’industria, dove per trent’anni ha villeggiato Renato Guttuso, dove vive con la sua famiglia Attilio Fontana, prima sindaco di Varese, oggi governatore della Lombardia. Tra i due c’è umana simpatia. Mettiamola così: a don Adriano non sono mancate occasioni rare per un prete. Restando nell’ombra come un varesino, s’è rivelato efficiente come un giapponese. Ha trasmesso valori che speriamo gli tornino moltiplicati, come i pani e i pesci. Conobbi questo sacerdote all’oratorio di Porto Ceresio, quasi Svizzera, freddo cane d’inverno, parrocchia affidata al milanese don Pietro Ferrari che intuendo le direttive del Concilio aveva restaurato la chiesa prevedendone l’altare al centro della navata. Il giovane coadiutore arrivava con la macchina del film, otto e super otto, e proiettava “Marcellino pane e vino” a ragazzi di paese che come unico svago collettivo avevano la partita di pallone in un campo di patate con due porte sgangherate ai lati e fango, tanto fango in mezzo alle due aree di rigore. Con don Adriano ci saremmo rivisti adulti a Velate. Non dimentico una notte di Natale di tanti anni fa: prima della messa, il parroco chiamò sull’altare Salvatore Furia, l’amato Uomo delle Stelle, il grande divulgatore di cose terrene e spirituali. Egli ci parlò dell’Infinito con i suoi limiti per la scienza e lo paragonò all’Eterno con il suo mistero per la fede. Che notte magica!