Il do di petto
- Gianni Spartà
- 27/09/2025
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Nella casa di Tamagno
C’è voluto un libro di Roberta Lucato per rammentare ai varesini che centovent’anni fa moriva Francesco Tamagno, celebre tenore italiano, nato a Torino e per lungo tempo signore di una villa settecentesca appollaiata in cima a una collina nella castellanza di Giubiano. E c’è voluta una visita domenicale guidata da Elena Ermoli e organizzata da Serena Nardi a chiusura del Varese Estense Festival Menotti per raccontare cose mirabili a un nutrito numero di persone. Tra quelle mura, quando non era in giro per il mondo, il padrone di casa faceva la manutenzione quotidiana della sua voce potente. Saliva una delle due scale che parallele arrivano fin sotto il tetto e affacciandosi a un balconcino con la ringhiera in ferro battuto, sprigionava autentici rombi di tuono. Che a differenza dei gol di Gigi Riva non squarciavano le reti del calcio, ma sfidavano le barriere del suono. L’eco scendeva lungo le pandici della collina, imboccava un viale delimitato da piante di tiglio e si smorzava dove allora non c’era la città di oggi, ma l’aperta campagna. In qualche occasione Tamagno, primo interprete di Otello nell’opera di Giuseppe Verdi, aveva sotto ai suoi piedi amici e parenti invitati a una festa o a un concerto privato. Nella maggior parte dei casi era solo con la sua arte tra pareti affrescate nel gusto dell’epoca e un locale arrangiato a teatrino con palco e poltrone sul lato destro della villa. Non c’è più: i posteri lo hanno eliminato. E tuttavia il fantasma di Tamagno vaga ancora in quel luogo trasformato nel quartier generale dell’ospedale di Circolo di Varese, oggi proprietario della residenza. Come dire che il mondo è cambiato, cambierà e che è già un risultato non aver raso al suolo la villa di Tamagno come capitò al Teatro Sociale nel 1953. La dimora meriterebbe di ospitare un museo, un conservatorio, una biblioteca. Nessuna speranza di resipiscenza, possibile solo con l’intervento di un sovrintendente, di un ministro, di un mecenate. Ma sarebbe auspicabile che, in occasione di un anniversario com’è stato il 2025, qualcuno della casta musicale cittadina battesse un colpo. Dunque c’è questo giallo di Roberta Lucato, La ladra dell’elisir (Macchione) che per protagonista ha proprio Tamagno. Un bel racconto, avvincente: l’autrice coniuga cultura di archivista e buona scrittura. L’occasione è propizia per ricordare che in origine Villa Tamagno era Villa Albuzzi del Pero, collocabile cronologicamente nella prima metà del XVIII secolo e poi rimaneggiata tra il 1837 e il 1841. Il tenore l’acquistò nel 1885 e l’abito nel 1905, anno della scomparsa: all’epoca l’ospedale cittadino si trovava in via Donizetti. Alcune fonti storiche ricordano le collezioni di Tamagno, tra le quali quella di coleotteri custodita nei Musei Civici di Varese. Al piano nobile della villa spiccano due antichi camini in pietra e pavimenti realizzati a mosaico mentre lo scalone d’onore è affrescato con eleganti architetture, nicchie, figure allegoriche tre i busti di Rossini e Verdi. Insomma un gioiello prezioso, una testimonianza di come nella Belle Époque Varese fu davvero capitale di cultura. Come oggi non riesce a essere nemmeno se si allea con Gallarate.