Il frate e il killer
- Gianni Spartà
- 12/11/2025
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Elia Del Grande
Dov’è Elia Del Grande? Lo cercano tutti: carabinieri, polizia penitenziaria, giornalisti. E fioccano domande: perché si sta rovinando con le sue mani? Perché da detenuto esemplare quand’ era in carcere s’è trasformato in “personaggio socialmente pericoloso” scappando da una comunità nella quale doveva percorrere l’ultimo miglio prima di tornare libero o semilibero? C’è una persona che potrebbe tentare spiegazioni, se fosse ancora viva: padre Gregorio, storico cappellano dei Miogni, il frate della Brunella che pochi giorni dopo l’arresto parlò a lungo con l’assassino in lacrime, scavò nelle tenebre della sua anima, lo confessò indossando una stola e pronunciò tre parole: io ti assolvo. Pubblicata in prima pagina da questo giornale, la notizia ebbe l’effetto di una raffica di mitra. Terribile, assordante. Putiferio tra i magistrati che vedevano comprensibilmente scavalcate le loro toghe solenni, dall’umile saio di un frate. Choc nella pubblica opinione scossa dal massacro di Caino: un giovane di 23 anni, bruciato dalla droga, era andato al ristorante con sua mamma, suo papà, suo fratello e rincasando in una villetta di Cadrezzate in piena notte li aveva sterminati con odio lucido e premeditato. Pochi furono disposti a considerare la differenza tra giustizia umana e misericordia divina. Quasi nessuno si ricordò di un francescano più famoso, frate Cristoforo, che nei Promessi Sposi, prima di rinchiudersi in un convento, s’era recato nella casa del fratello di un uomo ucciso quando non era ancora consacrato, e ne era uscito con un dono prezioso e imprevisto: il pane del perdono. Pochissimi, infine, pensarono che la demarcazione tra buoni e cattivi non è una muraglia di pietra invalicabile, ma una sottile striscia nel cuore: ciascuno, soprattutto un prete, la può superare interrogando la propria coscienza. Col coraggio della speranza. Se così non fosse sarebbero scartoffie i vangeli, non solo per i credenti, parole al vento i moniti di papi come Francesco. Non crediamo che padre Gregorio, scomparso a 88 anni, avesse fatto ragionamenti teologici all’indomani dell’orrenda strage di Cadrezzate. E dubitiamo si fosse sentito in colpa violando, sull’onda d’umana emozione, il precetto del segreto confessionale. Agì d’istinto. Aveva incontrato dietro le sbarre quel disgraziato che manifestava l’urgenza di parlare con Dio, prima che con i magistrati; aveva creduto al suo smarrimento per quanto aveva fatto, ne riferì le conclusioni, sicuro di provocare sconcerto. La “scandalosa” assoluzione di Elia ormai è materiale d’archivio. Resta in prima pagina invece il male di vivere che da troppo tempo attanaglia anche il nostro territorio ricco fuori, disperato dentro. Quante stragi familiari come quella di Cadrezzate. Ha appena parlato in Corte d’assise Lavinia Limido, sfregiata ma sopravvissuta alla furia omicida dell’ex marito che le ha ucciso il padre a Casbeno, rione di Varese, e fanno tremare i polsi le sue parole: “Lui non s’è pentito. Se esce di carcere ci uccide tutti: me, mio figlio, le mie sorelle e io non voglio vivere con questa paura senza garanzie definitive”. Ed eccola l’emergenza dei nostri giorni sempre più tribolati sul fronte del disagio sociale e psichico e delle sue derivate criminali. Un caso-simbolo è l’accoltellatore di piazza Gae Aulenti a Milano: non ce l’aveva con la donna che ha colpito, non la conosceva, ma il demone che aveva dentro l’ha spinto a farlo. Sono tanti, troppi in Lombardia i soggetti a rischio che restano a carico di famiglie indifese e dunque in serio pericolo perché mancano le Rems, strutture adibite all’esecuzione di misure di sicurezza simile a quella dalla quale è evaso Elia. Le istituzioni ammettono e annaspano: non ci sono posti disponibili su tutto il territorio nazionale. Poi accade la tragedia e comincia l’esercizio di cui tutti sappiamo essere campioni. Lo scaricabarile. Almeno padre Gregorio parlò in nome di Dio.