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Una provincia tranquilla

  • Gianni Spartà
  • 06/12/2025
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Ammazzare Stanca

La memoria e il cinema. La fiction e la realtà. Arriva nelle sale Ammazzare Stanca, un viaggio psicologico nel Medioevo dei sequestri di persona e il Varesotto - dove la storia è ambientata - rivive gli incubi di una stagione maledetta. Quando poteva accadere a tanti di essere presi, incappucciati, sbattuti su un’auto, sparire nel nulla; quando gli affetti di una famiglia si scontravano con i rigori della legge, conti bloccati in banca, vietato pagare il riscatto; quando doveva vincere lo Stato che spesso perdeva e chiedeva scusa. A un giudice di Milano costò tantissimo nel 1999 ammettere in aula “l’incredibile serie di errori” e mandare assolto in appello per prescrizione condannati in primo grado per un rapimento. Il giorno prima aveva telefonato ai familiari: non voleva lo sapessero in tribunale. E’ un esame di coscienza potente e collettivo il film di Daniele Vicari, regista poliedrico: in queste settimane è impegnato sul set di Bianco dedicato alle imprese di Walter Bonatti. Dal sequestro di Emanuele Riboli, mai tornato a casa: Buguggiate, 14 ottobre 1974, a quello scongiurato di Antonella Dellea: Germignaga,16 gennaio 1990. Per vent’anni il triangolo Varese-Milano-Como ha vissuto sotto una nuvola nera ed è stupefacente che a squarciarla per guardarci dentro sia stata la ribellione interiore di un assassino. L’affiliato Antonio Zagari non ne poteva più: tradì la ‘ndrangheta, era successo di rado, mai con un figlio che fa arrestare il padre. E sotto il cielo del Varesotto emerse il lato nascosto dell’Isola felice dove non accadeva mai nulla. Così si diceva.  Il virus criminale scorreva da tempo, indisturbato, nelle sue vene sotterranee, il contagio s’era diffuso a tal punto da non farci caso. Il Farwest dei rapimenti nel frattempo è finito, le cosche ci sono sempre, infiltrate nell’economia, nella politica, nella finanza. Prima mimetizzate e rurali, oggi senza la coppola e integrate con abiti di fine sartoria. Ammazzare Stanca fotografa gli anni in cui la holding delle cosche calabresi s’allargò alla provincia. Basta rapire rampolli delle grandi famiglie, gli Alemagna, i Lazzaroni, i Parma, meno rischioso abbassare l’asticella lontano dalla metropoli Milano. E dopo lungo tempo esplose lo psicodramma di Antonio Zagari, allevato da suo padre a pane, odio e canne mozze. Aveva ingurgitato tutte le pietanze criminali, i sequestri di persona no. “Quelli non li ho mai digeriti, li ho sabotati, fatti fallire, fino a quando ho saputo che fine aveva fatto la cosiddetta onorata società a Emanuele Riboli, amico di mio fratello Enzo e ho provato disgusto, schifo. Il sangue improvvisamente mi faceva paura”. Antonio si mise a scrivere, mentre vuotava il sacco con la Procura antimafia, e consegnò in carcere a un malcapitato cronista la sua cruda biografia, uno spaccato della ‘ndrangheta esportata al Nord: avessi reso note subito subito quelle pagine vergate a mano avrei compromesso un’inchiesta non ancora chiusa. Nel brogliaccio c’erano la conversione e il bilancio di un’esistenza sbagliata: “Sono rimasto un contadino, giro con una 128 scassata, non ho soldi, mio padre mi tratta non da figlio ma come uno dei suoi sporchi compari”. Questo è il concept del film, non facile da spiegare. Vicari ci è riuscito con attori giovani che all’epoca non erano ancora nati. Dunque non c’erano Luciano Lutring, Epaminonda e il “bel Renè” Vallanzasca dietro ai sequestri di persona: loro specialità erano le rapine in banca a Milano tra gli anni ’60 e ’80 e quei personaggi tragicamente romantici a poco a poco si erano ritirati o erano finiti a San Vittore. No, gli angeli del male che portavano via ragazzi e ragazze e se le cose andavano storte li seppellivano in una discarica o li davano in pasto ai maiali, erano ambasciatori dei capibastone della Locride che lo Stato, con i soggiorni obbligati, aveva aiutato a fare carriera in Lombardia. All’inizio vissero di contrabbando, poi scoprirono il più vile dei delitti: il rapimento col l’incasso di un prezzo per la liberazione del prigioniero. Due riflessioni: quanto dolore nelle famiglie per le quali Ammazzare Stanca non è solo un film, è aceto su piaghe mai rimarginate. Il pensiero da a loro. E poi una constatazione: senza la collaborazione di un delinquente, di un infame, nel gergo mafioso, nulla si sarebbe saputo. Oppure si sarebbe saputo con ritardi ancora più imbarazzanti. 

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