Domenica delle Salme
- Gianni Spartà
- 06/04/2020
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Mascherine e paraocchi
Non è stata una gioiosa Domenica delle Palme, ma una dolorosa Domenica delle Salme come cantava De Andrè in un celebre album del 1990, immaginando un panorama triste e apocalittico quando la caduta del muro di Berlino aveva cambiato il mondo. Solo che quella di oggi non è una metafora, bensì una conta di morti che toglie il respiro, senza eliminare la speranza di resurrezione. Giriamo con le mascherine bianche perché per troppo tempo abbiamo portato i paraocchi neri. Ci rendiamo conto di aver esagerato con la cultura del consumo, non potevamo ammettere che ci avrebbe assalito alle spalle la decrescita infelice. Viviamo nel senso di colpa per aver dimenticato la sobrietà, lasciato indietro fragili, poveri, detenuti, anziani. E ci avvilisce la terribile idea che si debba scegliere di salvare un malato su due, oltre una certa età, perché in anni spensierati gli ospedali hanno liquidito metà dei posti letto. Quanti rimorsi in queste ore di clausura. E quanti pensieri. Al festival di Sanremo, cioè ieri l’altro, è salita sul palco una bella donna che parlava l’italiano come un accademico della Crusca. Era anche bella, bionda, empatica, albanese come il prototipo del ladro evocato ogni qualvolta qualcuno commetteva un furto nelle nostre abitazioni. Gli si caricava addosso la croce del pregiudizio per poi scoprire, magari, che il mariolo era un rampollo della Milano bene fuggito dalla comunità di don Mazzi. Ebbene, oggi vengono a darci una mano medici di Tirana insieme con colleghi cubani, russi. Come il Coronavirus non guarda la denuncia dei redditi prima di colpire col suo pungiglione malefico, così la solidarietà non fa questione di confini. Ci accorgiamo piuttosto che l’America a guardia americana non esiste più e che quando si ipotizza un piano Marshall per tirarci fuori dal disastro economico, non si pensa a Trump, ma verosimilmente alla Cina da dove è partita la pandemia. Anche per una sorta di debito, quelli di Pechino appaiono più pronti della Casa Bianca a percorrere la via della seta all’incontrario. Sì, la generazione perfetta, fortunata, quella del dopoguerra, si scopre bombardata dalla sciagura. E questo accade mentre un odioso virus, ridisegna il nostro tempo, ri-delimita i nostri confini, si porta via gli eredi della meglio gioventù che fu protagonista del boom economico, artefice del collaudo dei diritti civili ripristinati dalla democrazia. Ogni mattina con la messa delle sette da Santa Marta, in un presepe spoglio abitato da una suora e tre pastori, Francesco conforta quanti non vedono altra soluzione che affidarsi alla preghiera. Non sono scomparsi scettici e agnostici, ma gli ascolti tv in pochi giorni sono raddoppiati, segno che c’è sete quanto meno di comunicazione non esaudita dai bollettini di guerra delle sei del pomeriggio quando il capo della Protezione civile fa il punto. Adesso capiamo meglio che cosa dovette provare un missionario varesino, padre Adelio Lambertoni nella sua Hong Kong devastata dalla Sars (2002). Mandava sue fotografie con una mascherina sul viso, intento a celebrare la messa in piazze deserte. Attorno a lui solo “monatti” che trasportavano cadaveri. Il sacerdote, cui Varese conferì dopo morto la Martinella del Broletto, è sepolto nella tomba di famiglia a Velate. E adesso il pensiero corre anche a un altro gran lombardo, il cardinale Carlo Maria Martini, che non aveva paura della morte, avvenuta all’Aloisianum di Gallarate, ma “di perdere il controllo del corpo e di morire soffocato”. Si augurava potesse esserci “qualcuno vicino a me a tenermi la mano”. Tutti questi sentimenti cozzano con le solite divisioni della politica, anche in un momento nel quale cui tutti siamo nella stessa barca. Non c’è verso di cambiare verso e dicono che le regole del gioco democratico siano queste. Sarà. Certo è l’Homo homini lupus elaborato dal filosofo britannico Thomas Hobbes. Ogni uomo è lupo per l’altro uomo, la sua natura è competitiva ed egoista. E pensare che San Francesco del lupo divenne amico. Addomesticandolo.