L’incubo manettaro
- Gianni Spartà
- 12/04/2020
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Strage di anziani
“La memoria, filo che unisce presente, passato e futuro, ha seguito in questo Paese le sorti di un vizio terribile più che quelle di un valore rispettabile”. Scrivendo queste parole in un suo libro nel 1997, Gherardo Colombo non poteva immaginare di essere messo alla prova dalla Storia, 23 anni dopo. Alla Baggina di Milano esplose la sua carriera di pubblico ministero con l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa. Cominciava Mani Pulite. Alla Baggina egli ritorna, da commissario, per capire se la strage di un centinaio di pazienti anziani è stata causata da leggerezze sanitarie . Lì incarnava la giustizia in toga, qui rappresenta il Comune ambrosiano in un’ispezione amministrativa. Lì agiva per conto della magistratura indipendente, qui l’ha nominato la politica. Dalla quale, peraltro, si è sempre tenuto alla larga mentre i suo collega Di Pietro vi si gettò a capofitto. Alla Procura della Repubblica oggi c’è la varesina Tiziana Siciliano la cui inchiesta riguarda, più in generale, una quindicina di case di ripose, tutte sospettate di epidemia colposa. Diciamolo subito: il Coronavirus è un cecchino che si apposta su un’altura e ammazza dieci-venti persone alla volta, di tutte le età. In un ricovero per anziani veste i panni di un terrorista che si imbottisce di tritolo, si fa saltare e provoca una strage di soggetti fragili, probabilmente predestinati. Ma diciamo subito un’altra cosa: a crisi ancora in corso, torna l’incubo delle denunce giuste o pretestuose, delle manette legittime o frettolose, dei processi penali infiniti o della cause civili penose. Non è rassicurante, alla luce dei precedenti. Ci si dovrebbe fidare della legge, che essendo una ingarbugliata matassa di diritto e rovescio, dà affidamento fino a un certo punto se non ristretta nella cornice dell’etica e del buon senso diverso dal senso comune. Di questo incubo si è già fatta interprete meritoriamente la casta degli avvocati: ha diffidato i suoi iscritti dallo “speculare sul dolore” accettando incarichi per mero interesse di parcella. Lo ha fatto ricordando il ruolo sociale della categoria e mandando un messaggio a dottori, infermieri, gestori di case di riposo che, fino a prova contraria, stanno mettendo l’anima nella lotta al mostro. Rischiando o perdendo la vita. Se costoro dovessero lavorare avendo paura d’essere poi perseguitati, sarebbe un guaio universale. Anche i medici legali, cui i giudici s’affidano per sentenziare,, hanno messo le mani avanti con una nota della loro associazione nazionale: raccomandano il rispetto del codice deontologico, parlano a se stessi e a tutti gli specialisti in altre discipline che li devono affiancare quando c’è da esplorare il causa-effetto per una morte. Essi hanno ben presente, ma giova ripeterlo, gli enormi sacrifici di colleghi oggi in prima linea, a volte senza dispositivi di sicurezza, strumenti clinici adeguati, coperture nelle alte sfere della Sanità. Il Coronavirus è una tsunami epocale. Nessuno ne sapeva nulla. E nessuno vorrebbe essere nei panni di quanti lo affrontano in un sistema sanitario non riorganizzato, negli ultimi trent’anni, ma indebolito. Ci sono due modi per sconfiggerlo: il vaccino o un miracolo. La nemesi storica è in grande spolvero in questi tempi. A Bergamo gli eredi degli alpini morti nella ritirata di Russia costruiscono un ospedale nel quale lavoreranno medici nipoti di Stalin. Il Vaticano s’è opposto alla stravagante idea di riaprire le chiese a Pasqua, ricordando lo scivolone di Carlo Borromeo che durante la peste del 1576 estese a Milano le manifestazioni del Giubileo di Roma provocando il grande contagio. In ogni caso il cardinale divenne santo, Salvini non avrebbe avuto speranze.