Frigo, nonno dell’Insubria
- Gianni Spartà
- 17/05/2020
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Quella telefonata surreale
“Buongiorno assessore, sono il coordinatore dei corsi pareggiati di Medicina e chirurgia di Varese. Mi vorrei incontrare con lei per parlare dei problemi dell’università….” La risposta fu agghiacciante: “Quale università, professore?”. Ora non è il caso, dopo 40 anni, di fare il nome dell’interlocutore, pomposamente responsabile, allora, della Cultura a Villa Recalcati, ma quello dell’autore della telefonata sì: era il professor Gianmario Frigo, eccellente farmacologo, persona mite, primo collaudatore del progetto accademico gemmato dall’ateneo di Pavia. Lo aveva inviato sotto il Sacro Monte il rettore Fornari perché cominciasse a coltivare il campo sul quale, cinque lustri più tardi, sarebbe sorta l’università autonoma dell’Insubria. Parliamo di Frigo perché è scomparso di recente e perché la surreale conversazione durata meno di un minuto rende l’idea di quali difficoltà, diffidenze, svogliatezze fu costellato l’esordio a Varese di qualcosa che Varese non voleva: una fabbrica di laureati costruita nell’ospedale di Circolo cui si attribuivano tutti i requisiti per ospitare docenze. C’era stato un autentico colpo di mano, oggi si parlerebbe di blitz di poteri forti: il presidente dell’ospedale, Giovanni Valcavi, avvocato e banchiere, il sindaco di Varese di allora, Mario Ossola, apprezzato tisiologo, il presidente della Provincia, Fausto Franchi, imprenditore a Saronno, avevano deciso che il capoluogo prealpino poteva, doveva tentare l’avventura universitaria. Industria e commercio restavano le vocazioni principali del territorio, a maggior ragione sarebbe stata cosa buona e giusta investire nell’istruzione. Erano altri tempi, non eravamo globali. Ma questa fu l’idea, giudicata scomoda per una serie di ragioni. E scarsamente considerata a giudicare dalla risposta incassata dal povero Frigo che tutti ricordano come bella persona. Aveva l’ufficio in ospedale, dove oggi stanno i locali dell’Urp. Nello stesso edificio le prime aule frequentate da studenti che oggi sono tutti in pensione. Ho ripreso in mano un mio libro pubblicato nel 1991: “Questa è la storia”. Il secondo capitolo s’intitola: “L’università indesiderata”. Vi si raccontano le accese discussioni tra favorevoli e contrari. Un consigliere comunale, medico, s’alzò in piedi una sera a Palazzo Estense e disse che l’ateneo nasceva “focomelico”. Per il no, nei primi anni, anche lo stimatissimo direttore sanitario del Circolo Giorgio Bignardi che d’altra parte doveva difendere in qualche modo i suoi primari e gli aspiranti tali, minacciati dalla calata dei docenti pavesi. Intellettualmente onesto, egli corresse il tiro quando vide che le due realtà avevano trovato il modo di convivere. Oggi l’Insubria, a cavaliere tra Varese e Como, ha dodicimila studenti. Delle schermaglie del passato non si ricorda più nessuno. Ma siamo sicuri che Gianmario Frigo se ne sia andato avendo ancora nelle orecchie quella risposta a una sua domanda.