Tognazzi al Giro d’Italia
- Gianni Spartà
- 31/10/2020
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E alla corte di Mister Ignis
E’ finito un Giro d’Italia triste: l’incubo crescente del Covid a mano a mano che la carovana partita dalla Sicilia si dirigeva verso Milano; strade meno affollate di tifosi; addirittura uno sciopero dei corridori nervosi per alcune giornate di pioggia. Allora consoliamoci con un ricordo legato a Ugo Tognazzi, il conte Mascetti di “Amici miei”, l’Emerenziano Paronzini di “Venga a prendere un caffè da noi”, girato a Luino. Sono trascorsi trent’anni dalla sua morte e leggendo la pagina celebrativa di Diego Pisati su questo giornale ci sono tornate alle mente alcune testimonianze di Raimondo Vianello raccolte scrivendo “Mister Ignis”, la biografia di Giovanni Borghi. Egli mi raccontò molto del re dei frigoriferi, circondato negli anni ’60 da attori, soubrette, registi che gli chiedevano soldi per fare un film, una commedia, qualche carosello. Poi tirò fuori il titolo di una trasmissione televisiva ,“Giro a segno”, che era una sorta di processo alla corsa rosa infarcito di battute satiriche. L’animavano lui e Tognazzi e il copione era pressappoco questo: i due regolarmente non riuscivano a salire sull’auto della Rai per seguire la vicino le fasi della competizione. O perdevano la fuga o smarrivano il gruppo degli inseguitori. “La sera in tv ci trovavamo a commentare alla nostra maniera qualcosa che non avevamo visto”, mi disse Raimondo, sotto gli occhi della sua Sandra che della squadra ciclistica della Ignis era stata la madrina. “C’era anche Borghi quella volta che a La Spezia un tifoso riconobbe me e Ugo e si mise a correre appresso alla nostra macchina. Chiesi all’autista di rallentare e quello, che ci aveva raggiunto, ci gridò: ma fate schifo. Con una frase manifestò tutto: il suo affetto, la nostra popolarità, la sua critica simpaticamente feroce e sincera”. La corte di Mister Ignis pullulava di volti noti del set: Vittorio Gassmann, Di Laurentis, Alberto Sordi, Silvana Mangano, Nino Manfredi. Ma prima del cinema, nel quale Borghi entrò con la forza dell’industriale affermato, venne il teatro, cui egli dedicò cospicue energie agli inizi dell’avventura. E Ugo Tognazzi fu il primo a trovare porte aperte a Comerio nella primavera del 1956 quando la sua compagnia ottenne dalla Ignis la spinta necessaria a girare l’Italia con la commedia brillante “Il fidanzato di tutte”, attori Lia Zoppelli, Gianni Agus, Elena Cotta, Isabella Riva, primo spettacolo al Politeama di Genova, quindi a Bologna, Firenze, Milano. Che la prosa non fosse il genere più adatto a Tognazzi, già alla ribalta in televisione, fu il tempo a decretarlo con l’insindacabile giudizio del pubblico. “Ma è destino dei comici rifiutare di non essere presi sul serio e Ugo non riuscì a sottrarvisi”, mi raccontò Vianello. “In quegli anni, per un breve periodo, le strade mie e di Ugo parvero separarsi. Io facevo la rivista, lui volle tentare la commedia votandosi a cose ritenute più degne di considerazione, ma rendendosi conto quasi subito che quello non era pane per i suoi denti. Qualcosa di simile accadde al grande Totò. Una volta mi confidò che sul set di “Uccellacci e uccellini” ce l’avevano trascinato. Lo lusingavano le critiche entusiaste all’opera di Pier Paolo Pasolini. Ma lui mi disse: Caro Vianello, a me ‘sto film mi pare ‘na strunzata”.