Quel raduno col Gius
- Gianni Spartà
- 27/02/2025
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Alle origini di Comunione e Liberazione
Chiesi anni fa a Robi Ronza, intellettuale e giornalista, perché il verbo di Comunione e Liberazione s’è incarnato in maniera profonda a Varese, più che altrove. Mi rispose: “Non solo a Varese, anche a Lecco, cioè nelle due città che, non avendo un vescovo, sentivano fortissimo il legame con Milano e furono particolarmente condizionate dalle cose che negli anni ’60 e ‘70 accadevano nella metropoli”. Stavo scrivendo con Riccardo Prando la biografia di don Tarcisio Pigionatti, mi parve opportuno approfondire le ragioni del “sogno cattolico” che dalle nostre parti, tra alti e bassi, non si è mai spento e che ha avuto nel tempo risvolti politici. Per una quindicina d’anni quel movimento espresse sindaci, assessori, parlamentari i cui eredi, alla vigilia di appuntamenti elettorali, tentano sempre un rilancio. Cercando testimonianze, mi colpì la storia di un raduno avvenuto proprio a Varese, in una villa di Velate, che si può considerare importante nella storia di CL. Protagonista il suo fondatore don Luigi Giussani sopranominato “Gius” dai suoi seguaci. Don Giussani arrivò a Varese accompagnato da don Luigi Negri, il futuro vescovo di San Marino e Montefeltro. Questa provincia gli ricordava anni trascorsi al seminario di Venegono, immerso negli studi teologici, e le facce di tanti giovani che avevano preso a seguire le sue lezioni nella chiesa del Carmine a Milano. Soprattutto, provocavano il suo spirito i misteri scolpiti nelle cappelle della Via Sacra, luogo caro a Paolo VI e al di lui segretario don Pasquale Macchi. Proprio all’ombra di quel tesoro d’arte seicentesca e di fede millenaria egli era atteso da una quindicina di studenti universitari milanesi che erano saliti a Velate, nella residenza liberty della famiglia Botturi, per tentare un’analisi di quanto stava accadendo alla Cattolica, dove si manifestavano i profetici segnali di una diaspora all’interno dei movimenti ecclesiali. La villa stava nella via Mottarello. E come “gruppo del Mottarello” sarebbe entrato in libri e dispense quel consesso di amici bisognosi di ricevere indicazioni. Don Giussani s’abbandonò a un’esclamazione mai dimenticata dai presenti: “Quanti fiori, quanta pace. Molti ecclesiastici avrebbero bisogno di fermarsi ad ammirare tutto ciò per ritrovare serenità”. Tra ragazzi e ragazze c’era Angelo Scola, futuro patriarca di Venezia e cardinale della diocesi ambrosiana. Data: il 6 agosto del 1968. A Parigi era esplosa la rivolta. I futuri ciellini, davanti agli sbocchi violenti di alcune assemblee, ricevevano informazioni dirette sui nascenti gruppi d’ispirazione marxista, leggevamo le opinioni di intellettuali che incanalavano la protesta studentesca, nata spontanea e apartitica, poi inesorabilmente ideologica. Giussani arrivò a Velate a metà di quella vacanza. Parlò a lungo di un “…uomo nuovo sollecitato dalla svolta culturale e della comunione con Cristo”. Ed ecco lo strappo con l’ortodossia di una certa Azione Cattolica; ecco il distacco, in qualche caso netto, dal pensiero dominante anche tra autorità accademiche; ecco, infine, l’approdo nei lidi universitari dei navigli partiti dal liceo Berchet e sui quali si erano imbarcati centinaia di ragazzi e ragazze col passaporto di Gioventù studentesca. L’impressione è che a Velate si compì una tappa decisiva di una diversa maturazione cristiana. Da lì cominciò a diffondersi nelle città lombarde un tam-tam di fede viva che sarebbe diventato incessante, invadente, inarrestabile, “tragico”, mi disse Ronza quarant’anni dopo, per il conflitto di metodo tra il rettore Lazzati e don Enrico Manfredini. Egli era compagno di messa di Giussani, delegato della Curia all’interno della Cattolica, poi prevosto a Varese, vescovo a Piacenza, arcivescovo a Bologna, dove morì. Nella città di Piero Chiara e di Dario Fo, orgogliosamente autonoma per cultura, pervicacemente fiera dei successi industriali, GS radunava la “meglio gioventù” dell’epoca. Erano figli di notabili, commercianti, professionisti, s’identificavano in un giornale, “Il Michelaccio”, alla cui direzione si alternarono i “bravi” del liceo classico Cairoli” e sulle cui pagine scrivevano ragazzi che avrebbero conquistato le redazioni di quotidiani e tv o gli studi di avvocati, notai e ingegneri. Tra i redattori storici Cesare Chiericati e il futuro cardinale Attilio Nicora.