Francesco e l’orso polare
- Gianni Spartà
- 03/11/2021
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La sveglia del clima
Un po’ troppo definire Vacanze Romane il G20. Perbacco l’Italia ha fatto bella figura e Mario Draghi le prove generali da capo dello Stato. Hanno scritto che, consegnando un generoso mazzo di rose alla Merkel, il nostro premier ha ricevuto in cambio dal lei il testimone di lìder maximo dell’Unione europea. C’è però un distinguo: nei 17 anni in cui la Germania si è lasciata governare dalla Lady di ferro, nel nostro Paese si sono alternati a Palazzo Chigi una decina di presidenti del Consiglio e gli ultimi erano riservisti della Repubblica che, come nel gioco dell’oca, non sono passati dal via. Previa consultazioni, li ha scelti il Colle fuori dal Parlamento, cioè dai nominati dal popolo. La chiamano crisi di sistema e sarà bene occuparsene. Ma se proprio dobbiamo dirla tutta, sì è vero: il tempo dei raduni di coloro che guidano il mondo dall’alto delle loro poltronissime, ha fatto il suo tempo. Sono fantasmagoriche parate di stelle dietro le quali centinaia di sherpa, lontano dalle telecamere, discutono, contrattano, si confrontano e qualcosa rimane, almeno a livello di memorandum. Solo che i padri di Santa Romana Chiesa quando entrano in conclave, ne escono sempre con il nome del nuovo papa; i grandi della politica internazionale si limitano a un documento di sintesi e a un arrivederci. Che a Roma ha destato reminiscenze romantiche. La “Sveglia del Clima” comparsa nei giorni scorsi sulla facciata di Palazzo Vecchio a Firenze durante il Cop 26 a Glasgow dice che gli anni rimasti a disposizione rispetto al cosiddetto punto di non ritorno sono poco più di sette. Forse è un’esagerazione, ma neanche tanto: il pianeta dà evidenti segni di sofferenza e bisogna correre ai ripari immediatamente. La coscienza ecologica non era diffusa, anzi era maltrattata, negli anni spensierati del progresso industriale. Ora tutti sappiamo che il mondo ha la febbre alta e che o la temperatura scende di qualche grado, combattendo il virus del surriscaldamento da eccesso di anidride carbonica, oppure finiremo senza respiro. La linea delle palme, come amano dire i divulgatori scientifici, si alza insidiosa dai Tropici fino a sconvolgere gli equilibri climatici, i ghiacciai si sciolgono e le conseguenze si possono vedere nelle immagini di un filmato reso eterno dal web: nove orsi polari si sfracellano sulle rocce perché la crosta gelata non ne reggeva più il peso. Uno studio del Politecnico di Zurigo, pubblicato dalla rivista Sciense, Afferma che una soluzione-tampone c’è: piantare sula Terra mille miliardi di alberi per assorbire, non a livello pre-industriale, ma in misura sufficiente, l’anidride carbonica in esubero. Dove metterli? Quanto costano? Quanto tempo ci vuole? Se cominciamo con le domande ci fermiamo subito e se ne riparlerà alla prossima sfilata di potenti, si spera con adesioni meno scettiche dal continente asiatico. L’America di Biden sembra rientrata in partita, convinta. Se invece l’idea, che sembra banale, entra nelle zucche dei più, qualcosa può cambiare. La nostra quota italiana sarebbe sessanta milioni di alberi uno per ogni italiano. Spazio ce n’è (pensiamo agli ettari di terra abbandonati dall’agricoltura) e il verde, ovviamente ordinato, ragionato, coltivato, non ha mai fatto male a nessuno. Tra l’altro l’operazione, con l’aria che tira, si tradurrebbe in punti di Pil, investimenti, tecnologia, occupazione, ma soprattutto educazione al rispetto del Creato. Quello che Francesco cominciò a predicare nel 2015 con l’enciclica Laudato sì. Ma lui è solo il papa.