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Segreti di lago

  • Gianni Spartà
  • 10/04/2025
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Varese dietro le quinte

La vulgata sul territorio che dalla pianura milanese s’inerpica verso le colline del Varesotto, continua a essere quella dei tempi delle villeggiature aristocratiche: un paradiso di verde col bianco del Monte Rosa in fronte, una preziosità da vivere. Non male mantenere la reputazione di luogo ameno, tranquillo, dove non accade mai nulla. Ma la storia recente dice che questo non è vero. Qui è accaduto di tutto negli ultimi cinquant’anni, accade ancora oggi e accadrà domani per almeno due motivi, uno sociologico, l’altro geografico. La zona si presta a nascondersi, mimetizzarsi, non essere disturbati, la riservatezza della gente è tale, diceva Piero Chiara, che se qualcuno incontrasse Einstein durante una gita farebbe finta di non conoscerlo, gli girerebbe al largo. Anche ora che una sua controfigura pubblicizza in tv la spesa intelligente in un supermercato. Se vuoi vivere nell’anonimato il posto ideale è questa provincia quasi svizzera. E “quasi svizzera” spiega il secondo motivo: a quindici chilometri dal capoluogo si aprono le porte dorate di una nazione, formalmente non europea, utile a tutti per le sue banche, alleata di nessuno per tradizione immutabile. Il cerchio si chiude considerando la vicinanza- lontananza di Milano con i suoi aeroporti (uno dei quali sarebbe nostro), i collegamenti rapidi da Lugano con la Svizzera interna eccetera. Dai tempi del contrabbando, del terrorismo rosso e nero, dell’import-export di denaro e armi, dall’epoca (1955) del primo insediamento di ambasciate mafiose in soggiorno obbligato, Varese si è rivelata residenza comoda per personaggi insospettati, alcuni con nome e cognome sulla guida del telefono. Nei primi anni ’80 i giornalisti furono convocati in questura per l’arresto di un nonnino siriano che da casa sua in via Tonale, dopo aver accompagnato all’asilo i nipoti, con una telescrivente spostava carri armati, missili e partite di cocaina da Ovest a Est, a livello mondo. Venne a interrogarlo a Varese un celebre magistrato, Carlo Palermo, allora giudice istruttore a Trento e fece in tempo a identificare il trafficante, non chi lo proteggeva, perché quello morì in carcere portandosi nella tomba i suoi segreti. Non risiedeva qui, ma da qui tentava di riparare in Svizzera, Massimo Carminati, militante dei NAR, Nuclei armati rivoluzionari, e tanti anni dopo personaggio-chiave nell’inchiesta su Mafia-Capitale. Era la Pasquetta del 1981, valico di Gaggiolo: gli agenti della Digos, allertati dal Viminale, spararono raffiche di mitra contro un’auto con a bordo tre persone, un colpo raggiunse a un occhio Carminati da allora detto “il cecato”. Come abbia potuto tornare in carriera il personaggio, allora semplice recluta dell’eversione nera, poi imputato di ben altro a Roma, è inutile chiedere. Siamo il Paese dei misteri e quelli giudiziari svettano. Riparte da capo il processo per il femminicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto nel 1990, giorni fa è stato condannato a 30 anni l’autore materiale della strage di Piazza della Loggia a Brescia. Ai tempi aveva sedici anni, oggi risiede in Svizzera e nessuno lo può estradare. Come sapete tiene banco “dove non accade mai nulla” il volo misterioso di un drone russo sul più importante centro di ricerche dell’Unione europea a Ispra. Inevitabile l’allarme in tempo di guerre, di odio, di spie. L’aggeggio sarebbe di fabbricazione russa, ma che cosa potesse fotografare sfidando i controlli radar francamente è inspiegabile: il reattore nucleare è spento da anni, restano bidoni sigillati con dentro rifiuti radioattivi, il centro nel 2050 dovrà tornare a essere un prato, spiegano i comunicatori di Ispra. E se il volo del drone fosse un passatempo italiano di pessimo gusto? Alla voce spionaggio intriga di più il naufragio sul Lago Maggiore di una barca con a bordo una ventina di 007 italiani e del Mossad il 28 maggio 2023. D’accordo: gita finita male (morì la moglie del povero barcaiolo), ma perché erano nel Varesotto quegli uomini, che tracce cercavano, perché qui? 

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