La 600 di Paolino Crespi
- Gianni Spartà
- 20/09/2025
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Di padre il figlio
Ma dammi indietro la mia Seicento….canta così Roberto Vecchioni in Luci a San Siro. L’auto del boom economico, il simbolo dell’Italia che si toglieva di dosso le croste della guerra e si rimetteva in moto su quella quattoruote indimenticabile. Giovanni Borghi per stabilire il prezzo dei suoi frigoriferi la faceva pesare e poi calcolava la proporzione: se questa macchina costa seicentomila lire pagate a rate, io ne posso chiedere trentamila ai miei clienti. Ce n’era un modello cabrio, anzi senza tetto. Circolava a Capri e al Lido di Venezia dove i latin lovers scarrozzavano verso la spiaggia le loro preferite. Così, per arieggiarle prima del tuffo. Mi vengono questi pensieri mentre penso a Paolo Crespi, da tutti conosciuto come Paolino, che con quell’utilitaria cominciò la sua avventura di concessionario. Ne vendette un numero spropositato, regalava i tappetini e il triangolo agli acquirenti e dietro le vetrate del suo salone in viale Belforte prese forma e sostanza nel 1955 l’avventura con la Fiat degli Agnelli. I quali, dal quartiere generale di Torino fecero avere un premio al più efficiente dei loro seguaci commerciali. Quanti ricordi di quest’uomo empatico con il pubblico, corretto con i suoi dipendenti che portava in gita la domenica come facevano allora tutti gli impresari avveduti: il migliore investimento lo fai se tieni buona la tua gente. Il padrone sono io, ma i contratti li fanno firmare loro. Guai a dimenticare questa regola di vita, prima che d’azienda. Non si sbaglia a dire che Paolino mise al volante due tre generazioni di varesini. La 600 oltre tutto era il modello usato dalle scuole guida. Il giovane che prendeva la patente imparava su quel modello e poi andava a prenotarlo. Attese lunghe, il mercato faticava a gestire domanda e offerta. Era l’epoca del miracolo italiano e l’automobile ne rappresentava la bandiera, in certi casi il riscatto sociale. Crespi ebbe una fortuna: allevare un figlio, Stefano (insieme nella foto), trasmettendogli il mestiere. E oggi, quando di celebrano i 70 anni di storia della concessionaria Crespi, si raccolgono i frutti della buona semina. Stefano ha dimenticato la chitarra alla quale si dedicò da ragazzo nella scuola del maestro Massimo Tenzi, acquartierata in una casa di ringhiera al numero dieci di via Sacco e segue egregiamente le orme del padre, ma con altri marchi: Wolkswagen e Skoda. Solo che rispetto agli anni del Paolino il panorama è meno stabile, le sfide si rincorrono, dietro l’angolo c’è l’auto ibrida, elettrica, chissà quale altra diavoleria destinata a bruciare i modelli a benzina e diesel. Ma ricordare gli inizi e le lezioni paterne, per Stefano è motivo di orgoglio: “Lui tornava a casa e diceva che non bisogna mai imbrogliare il cliente. Un insegnamento da tramandare a mia figlia che è già in azienda al mio fianco”. Quanto alla Seicento di 70 anni fa, i giovani impararono a truccarla per farla sembrare un Abarth, il modello aggressivo della gamma. Tenevano sollevato il portello posteriore con due mollettoni neri, appiccicavano sulla carrozzeria una targhetta col marchio Abarth e via di corsa a stupire la fidanzata invitata a cena.