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L’inchino al dottore

  • Gianni Spartà
  • 30/03/2020
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Promemoria per il dopo

Nel Giappone antico, solo una categoria professionale era esentata dall’inchino all’imperatore: i maestri di scuola. Si diceva  che senza maestri non ci sarebbero stati imperatori. La regola è tramontata anche per l’ improbabilità di incontri ravvicinati con colui che è sovrano e divinità. Ma se fosse resuscitata di questi tempi, dalla riverenza solenne sarebbero esclusi i dottori. Anche senza di loro non esisterebbero imperatori che tengono alla longevità. Istruzione e Salute, due pilastri a tutte le latitudini. Alle nostre no: dei professori abbiamo scarso rispetto, li paghiamo male, ignoriamo da decenni il loro disagio; di medici e infermieri solo in questi giorni si dice che sono eroi, martiri, invincibili samurai. E invece tra loro si contano 5.211 contagiati e 51 ammazzati dal virus. La paura fa novanta e s’indulge all’adulazione. Tra sei mesi nessuno se ne ricorderà e si tornerà a riservare, non inchini, ma schiaffi anche ai medici e soprattutto a infermieri e oss, le categorie più deboli. Che cosa ce lo fa dire? Lo stesso ragionamento valido per la scuola: più l’hanno riformata, in media ogni due anni, più è indietreggiata. Negli ospedali italiani la battaglia contro il Drago ha numeri imbarazzanti:  si potevano accogliere 530mila pazienti negli anni ’80, nel 1992 365mila, 191mila nel 2017, sommando pubblico e privato. C’è stato un miracolo: in pochi giorni i  letti per le terapie sono aumentati del 64%, specialmente al Nord. Segno della capacità reattiva di un Sistema sanitario nazionale invidiato da tutti. In Italia non si lascia indietro nessuno, l’ assistenza è gratuita per poveri, ricchi ed evasori fiscali. Quando Trump dovrà affrontare, come tutti, le scosse del terremoto virale, si pentirà d’aver fatto il matto fino e ieri l’altro e assisterà impotente al massacro. Solo che in America chi s’ammala paga: cure garantite solo a solventi e assicurati. Da noi ci furono  errori, soprattutto contabili, quando si pensò di accreditare cliniche di re di denari privati utilizzando denaro della gente. L’idea era accettabile, la sua realizzazione sbagliata. Gli scandali in Lombardia hanno seminato rabbia e sfiducia. E oggi cittadini e direttori generali ne subiscono le conseguenze. I primi per la maledizione del contagio, i secondi per la fame di posti-letto: traslochi di reparti, urgenza di centri sussidiari di rianimazione, necessità di affrontare lo straordinario preservando l’ordinario. Non è che il Coronavirus ha fatto sparire le altre categorie di malati. Poi chiedete quanto guadagnano eroi ed eroine. La giovane infermiera professionale, assunta di corsa sull’onda della pandemia, vi dirà che in queste settimane non si può lamentare economicamente: ammazzandosi di lavoro dodici ore al giorno, rischiando l’infezione, a volte contraendola, il salario è discreto. E dopo, per un mestiere che logora il fisico e l’anima? A un infermiere professionale 1.300 euro al mese se fa i turni, 1500 a un senior. Agli Oss, operatori socio-sanitari, l’anello più debole della catena, 1.100-1.200 euro con i turni di notte. Morale: non vediamo l’ora di tornare alla normalità, ma cominciamo a chiederci quale. Forse non è normale quanto vi abbiamo raccontato, forse, per tutto quello che sta succedendo, dovremo ripartire con nuovi modelli di sviluppo in economia, con riflessioni profonde sulle priorità sociali. Cronache dalla clausura laica: per darsi coraggio i napoletani sognano come fare la festa al Drago quando stramazzerà al suolo. Rito collettivo di purificazione attorno al falò della sua carcassa putrida. Quante amicizie ritrovate al telefono e per mail dalle nostre prigioni. Tendi l’orecchio accanto alla serranda di un garage e avverti la sinfonia meccanica di rulli per ciclisti domiciliari, del tapis rulant sostitutivo  di corse con i piedi per terra. C’è chi se la prende con le stelle come il don Ferrante dei Promessi Sposi nella peste di Milano. E d’altra parte le stelle chiudono Inferno, Purgatorio e Paradiso: “quindi uscimmo a riveder le stelle”; “puro e disposto a salir le stelle”; “l’amor che muove il sole e l’altre stelle”. Dante nel suo viaggio ha visto tutto il male, proprio e degli altri, se n’è lavato, e dice che il conforto del bene si trova guardando in alto. In assenza di funerali, i necrologi sui giornali raccontano la grande ritirata di una generazione. Per una novantenne che ne esce viva, dieci se ne vanno senza il saluto di un coniuge, di un figlio. E’ come se in una staffetta mancasse il passaggio del testimone tra chi si ferma e chi continua la corsa. Non defunti, fantasmi. 

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